Turismo e industrie creative
di Fabio Viola
Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°6, Ottobre 2019
Le industrie creative hanno rappresentato nel corso dei secoli, pur con le dovute diversità, uno straordinario volano di promozione e costruzione dell’immaginario turistico. Già sul finire del XVII secolo, e ancora per tutto il XVIII, l’Italia divenne la principale destinazione di viaggio per i giovani aristocratici e rampolli europei. I «Grand Tour», da intendersi come la prima forma di «turismo di massa», nascevano dalla curiosità di ammirare con i propri occhi le bellezze culturali ed approfondire i modi di vivere e gestire la cosa pubblica. Centinaia di migliaia di persone, provenienti prevalentemente dai paesi del Nord Europa, si avventurarono lungo il Belpaese in soggiorni a volte lunghi anche anni con positive ricadute economiche sui tessuti urbani. Fu così che non solo i «grandi attrattori» ma anche centinaia di comuni descritti nell’Italian Voyage di Richard Lessels, nel Viaggio in Italia di Goethe e nei racconti di Shelley e Byron divennero oggetto di un boom turistico inedito e molto lontano dai «tour utilitaristici» del Medioevo. Era consuetudine dei giovani nobili viaggiare con i propri ritrattisti al seguito, o affidarsi a maestranze locali come il famoso veneziano Giovanni Battista Piranesi, al fine di immortalare le bellezze ammirate durante il viaggio alla stregua di quanto oggi accade con le fotografie. Opere che iniziarono a circolare ad una velocità pressoché istantanea, almeno per gli standard dell’epoca, contribuendo alla conoscenza soprattutto delle località, storie e attrazioni meno note della penisola italiana. Un immaginario che si stratificava lentamente nelle nazioni raggiunte, spingendo nuovi turisti ad avventurarsi lungo le strade italiane che, già dal XVIII secolo divennero le più battute d’Europa scavalcando in popolarità la contigua Francia.
Non solo Roma, Venezia, Firenze e Napoli ma anche località minori come Olevano Romano divennero popolari. Il borgo sui Monti Prenestini è, tutt’oggi, meta preferita di giovani artisti che trovarono sin da allora un clima più fresco, costi calmierati rispetto a Roma ed una varietà della natura senza eguali. A distanza di oltre tre secoli paesaggisti da tutta Europa, soprattutto danesi, fanno tappa in questa località per ritrarre alberi, rocce, persone nei loro atti quotidiani, montagne e profili di borghi come Civitella, Subiaco e Olevano stessa. Centinaia di litografie e quadri sono esposte in collezioni private e musei europei assegnando all’area a sud di Roma una indiscussa influenza su tutta la storia della pittura del paesaggio.
Questa, e altre centinaia di storie analoghe, testimoniano gli impatti duraturi e sostenibili delle industrie creative sul comparto culturale e turistico. La presenza di infrastrutture, materiali e immateriali, e di risorse umane creative contribuisce alla crescita di un territorio stratificando un tessuto umano di residenti, permanenti o temporanei che siano.
Numerosi turisti erano essi stessi «artisti» e contribuivano col loro talento ed attitudini alla creazione di nuovi immaginari culturali. É un tratto distintivo di quello che potremmo definire «turismo creativo«, che si declina attraverso differenti media a seconda della collocazione temporale, la convivenza tra forme di consumo culturale e nuova produzione culturale. Un turismo che non si limitava unicamente al «consumo» del patrimonio artistico e paesaggistico italiano, alla stregua di quanto oggi accade con molte forme di turismo, ma cercava attivamente di concorrere alla creazione di nuova cultura attraverso scritti, ritratti, pitture che si aggiungevano e stratificavano al pre-esistente. Le località italiane, pur senza alcuna pianificazione centralistica, divennero centri attivi di produzione culturale ed hub attrattivi per quelli che oggi definiremmo makers da tutto il mondo. Nuove visioni e sensibilità si affacciarono in grandi e piccoli attrattori arricchendo lo straordinario «hardware» che natura e uomo hanno concorso a lasciare in dote all’Italia. Continuando con la metafora tecnologica, è indubbio il potenziale che il nostro territorio ha: il maggior numero di siti Unesco in Europa, una varietà paesaggistica e naturalistica degna di nota, il maggior numero di prodotti DOC e IGP ed una dorsale attrattiva lungo tutti gli 8000 comuni italiani. Ma nessun computer, per quanto potentissimo, è in grado di funzionare senza adeguati «software» ed, a loro volta, anche i migliori software necessitano di risorse umane in grado di utilizzare al meglio. E per software sono da intendersi tutti quegli strumenti atti a promuovere, integrare, comunicare, rendere esperienziale la visita ed ancora attrarre nuovi pubblici (audience development), coinvolgere il visitatore (audience engagement) e fidelizzare, delineando strategie per le nuove generazioni. In sintesi i media creativi di cui sopra.
Per risorse umane intendo quel combinato disposto fatto da residenti permanenti che rappresentavano spesso una primaria fonte di ispirazione ed informazioni per i turisti che non di rado preferivano intrattenersi con i locali di cui apprezzavano le diversità culturali e tradizioni. A questi si aggiungevano artisti e maestranze locali in grado di facilitare la riproduzione dei pensieri e immagini dei viaggiatori e mostrare loro nuove tecniche e stili. Infine gli stessi residenti temporanei, i viaggiatori, entravano in contatto tra loro contribuendo alla creazione di un virtuoso corto circuito di esperienze transnazionali che trovavano una sintesi poi nella loro specifica creatività.
Dopo una interruzione di flussi turistici a cavallo delle due grandi guerre, l’Italia riconquistò presto il primato mondiale come destinazione. Sul finire degli anni ’50 alcune stime affermano che un turista su cinque nel mondo visitava la penisola, conferendo un primato mondiale protrattosi fino agli anni ’70. Lo straordinario trentennio di egemonia turistica degli anni ‘50-‘70 si avvalse della creazione di «software» culturali a cui largamente contribuì la crescente industria cinematografica da considerarsi il principale media della generazione dei Baby Boomers (nati tra il 1940 ed il 1960). Pellicole come I Soliti Ignoti, La Ciociaria e La Dolce Vita contribuirono a creare una immagine di «Paese Cartolina», alimentando un immaginario da esportare in tutto il mondo. Il turista straniero ha conosciuto e si è innamorato della nostra penisola anche attraverso le sequenze di Vacanze Romane dove una giovane Audrey Hepburn si muove sullo sfondo del Colosseo, piazza di Spagna e tante altre meraviglie dell’Urbe. Immortale la sequenza in cui Gregory Peck finge di perder la mano all’interno della Bocca della Verità della chiesa di Santa Maria in Cosmedin. A distanza di quasi 60 anni è ancora possibile scorgere lunghe code (paganti) di turisti che si recano presso l’antico mascherone in marmo per rivedere e ripetere quelle gesta immortalate nella pellicola. Emblematico è il caso di Volterra le cui sorti moderne sembrano essere collegate a doppio filo con i media creativi e culturali. Negli anni ’60 lo splendido borgo in provincia di Pisa conobbe un rinnovato periodo di notorietà grazie a film girati nel suo territorio e le continue presenze di personaggi come Vittorio Gasmann e Alberto Sordi. Con il progressivo declino dell’industria cinematografica italiana, anche il borgo conobbe un periodo di depressione fino al 2006 quando la scrittrice americana Stephenie Meyer decise di ambientare, in parte, a Volterra il suo secondo romanzo della saga di Twilight, New Moon. La risposta internazionale fu subito entusiastica; migliaia di turisti che non conoscevano l’esistenza della cittadina si riversarono lungo le sue strade a caccia di vampiri e il Comune insieme a numerose associazioni e tour operator diede vita a veri e propri tour ufficiali. Ma ancora più del libro, effetti benefici e duraturi li portò l’omonimo film del 2009 girato nella vicina Montepulciano con stime che hanno riscontrato crescite a doppia cifra degli arrivi. Questo esempio conferma due assunti: lo straordinario potere che i media culturali e creativi hanno nella costruzione di stratigrafie di storie e suggestioni e che l’editoria cede il passo al cinema come media di riferimento a partire dalla seconda metà del secolo scorso. L’impatto turistico di Twilight non è un caso isolato: Braveheart ha generato in Scozia + 300% di visitatori, Il Castello di Alnwick di Harry Potter + 120%, Il Castello di Agliè di Elisa di Rivombrosa passò da 10.000 a 92.000 visitatori.
Una naturale evoluzione mediatica riassumibile con uno scherma tripartitico. L’era delle «industrie creative» dominate da immagini statiche: litografie, quadri, libri e fotografie che hanno influenzato immaginari turistici a partire dal XVII secolo. L’era dominata dalle immagini in movimento: film, serie tv, documentari che hanno segnato l’intero secolo scorso istituzionalizzandosi attraverso le Film Commission presenti in ogni regione italiana e, in forme diverse, ormai in moltissime nazioni.
Il XXI secolo sta portando con sè un nuovo grande cambiamento che potremmo definire l’era delle immagini interattive. Mentre scrivo questo contributo, milioni di persone sono intente ad esplorare e conoscere location reali attraverso la loro riproduzione all’interno dei videogiochi. Il più giovane dei media creativi si differenzia rispetto alle pratiche passate per il ruolo attivo e partecipativo che richiede ai suoi fruitori, non più spettatori passivi di una storia mono-direzionale ma attori e co-registi attraverso le proprie decisioni all’interno delle esperienze di gioco. Una forma di produzione artistica e culturale in qualche modo liquida, aperta a modifiche da parte del giocatore ed al tempo stesso estremamente coinvolgente. Nessun altro media è in grado di formalizzare quel passaggio dalla terza alla prima persona come accade al termine di una esperienza video ludica. Espressioni come «ho salvato la principessa» o «ho esplorato un pianeta» ci indicano il livello di partecipazione generato da un videogioco e la capacità di sedimentare nella memoria a lungo termine luoghi e storie di cui si compone. Con oltre due miliardi di giocatori nel mondo di cui 15 milioni in Italia, è innegabile l’impatto che l’industria dei videogiochi possa avere nella formazione di nuovi immaginari culturali e nella promozione dei territori. Le istituzioni territoriali dovrebbero iniziare a guardare a Candy Cruh e Fortnite come modelli nella capacità di attrarre, coinvolgere e fidelizzare i propri pubblici.
Intere nuove generazioni, Y (1980-2000) e Z (nati dopo il 2000) trascorrono decine di ore mensili e spendono oltre 100 miliardi di dollari all’interno di questi mondi virtuali e si aspettano di ritrovare nella quotidianità, anche turistica, quel senso di protagonismo, potere decisionale, contributo attivo, cooperazione, premialità che hanno sperimentato nelle sessioni di gioco.
L’esempio da cui partire è sicuramente Assassin’s Creed 2, videogioco realizzato dalla azienda francese Ubisoft ed ambientato in città italiane come Venezia, Roma, Firenze, Forlì, San Gimignano e Monteriggioni durante il Rinascimento. Oltre 80 milioni di persone nel mondo hanno acquistato (costo medio 60 euro) i capitoli di questo Blockbuster entrando in contatto con personaggi, storie ed ambientazioni anche italiane: un viaggio virtuale nell’Italia rinascimentale, in cui i giocatori si possono muovere a piacimento tra Palazzo Strozzi, il Colosseo, il campanile di San Marco e mille altri luoghi dove il piacere del gioco diventa anche occasione per un turismo virtuale che sempre più spesso si traduce in turismo reale.
Grazie a questa saga, infatti, molti giocatori hanno espresso il desiderio di effettuare dei tour reali nei luoghi toccati dal gioco, orientandosi con disinvoltura nei centri storici cittadini alla ricerca delle «fonti di ispirazione» reale dei luoghi virtuali: uno strumento formidabile di audience development. Non è una coincidenza se uno dei luoghi riprodotti, il piccolissimo borgo di Monteriggioni in Toscana, abbia conosciuto a partire dal 2009 un aumento significativo dei flussi turistici. Come dichiarato dall’ex assessore al Turismo del comune, Rossana Giannettoni «Assassin’s Creed ha dato al castello una grandissima visibilità e la possibilità di essere conosciuto in tantissimi luoghi dove noi difficilmente saremmo riusciti ad arrivare con la nostra attività promozionale. Una curiosità che può dare alcune indicazioni in merito: la sezione distaccata The Cloister del Guggenhein Museum di N.Y, dedicata appunto al Medioevo, ha richiesto una ricostruzione in miniatura del nostro castello, conosciuto proprio attraverso il video gioco».
Una ricerca condotta dal Comune di Monteriggioni del 2016, ci dice che circa il 16% dei turisti ha conosciuto il borgo attraverso Assassin’s Creed nonostante fossero trascorsi già 7 anni dal rilascio sul mercato del gioco. Su un montante di 150.000 visitatori certificati nel 2016, circa 25.000 sembrerebbero arrivare grazie al videogioco!!
Il titolo Ubisoft non è un caso isolato, sono centinaia i giochi ambientati in toto o in parte in Italia. Un pubblico immenso che ha conosciuto, esplorato, subito sconfitte e vittorie, salvato principesse, ucciso demoni, guidato truppe sul territorio italiano pur senza esserci mai stato. In molti casi parliamo di un pubblico giovane, difficilmente raggiungibile su altri canali promozionali.
L’Italia è tra i principali paesi al mondo non solo per numero di videogiochi ambientati nei nostri incantevoli scenari, ed il portale Italyformovies.it restituisce una mappatura completa del fenomeno, ma anche, e soprattutto, per aver dato vita ad una positiva ibridazione tra comparto turistico/ culturale e industria videoludica attraverso la realizzazione di una serie di videogiochi volti a stimolare l’offerta culturale e turistica in specifici contesti territoriali.
Il caso emblematico di turismo videoludico italiano, nella doppia accezione di esser ambientato ed esser stato sviluppato e pubblicato in loco, è sicuramente Father and Son. Da una idea del prof. Ludovico Solima, Università della Campania, e dalla volontà del direttore Paolo Giulierini, nasce il primo videogioco destinato al mercato mondiale prodotto dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Sviluppato dal collettivo internazionale TuoMuseo, l’opera interattiva segue la storia di Michael, giunto a Napoli per esaudire gli ultimi desiderata del suo padre archeologo che non vede da anni. Con lui nella casa del padre defunto nell’atto di leggere la sua ultima lettera, inizia un viaggio tra le bellezze della città partenopea e del suo Museo in cui la linea temporale del presente si interseca con storie provenienti dall’Antico Egitto, epoca borbonica e Pompei per rimarcare l’universalità di sentimenti e comportamenti. Numerose ambientazioni napoletane sono state reinterpretate artisticamente ed inserite nel gioco per dispositivi mobili scaricabile gratuitamente sugli store Apple e Google in sette differenti lingue. Da Aprile 2017, data di rilascio del videogioco, sono state oltre 4 milioni le persone nel mondo che hanno interagito con Napoli, il Mann e le sue collezioni totalizzando l’equivalente di mille anni di vita all’interno del prodotto. Cina, Usa, Russia, Brasile, Sud Est Asiatico si sono avvicinati alla storia e cultura italiana grazie al progetto digitale per poi recarsi fisicamente nel Museo anche incentivati dalla inedita modalità check-in che consente ai giocatori di geo-localizzarsi nel museo per sbloccare contenuti aggiuntivi. Digitale ed analogico si saldano per creare un ponte tra la fase pre visita e l’esperienza on-site creando un positivo corto circuito tra reale e virtuale ed una conseguente stratificazione di cultura conservata (migliaia di reperti esposti e nei depositi) e cultura generata (il Mann che diventa publisher videoludico).
Nell’ultimo triennio sono numerose le progettualità avviate. Il Marta di Taranto con Past for Future volto a valorizzare Taranto e provincia, il Comune di Firenze con Firenze Game per de-localizzare i flussi turistici fuori dal centro storico, Toscana Promozione Turistica con Beyond our Lives per aggregare una area territoriale vasta attorno al tema degli Etruschi o ancora il Teatro Regio di Parma, primo teatro al mondo a contaminarsi con il linguaggio video ludico per raggiungere nuovi pubblici.
Progetti diversi con obiettivi e pubblici differenti che rimandano alla necessità di comprendere al meglio questo fenomeno e, nei limiti del possibile, istituzionalizzarlo per stimolare la domanda soprattutto verso quei centri medio piccoli che rappresentano la dorsale culturale e turistica dell’Italia.
Fabio Viola è engagement designer, inserito nella TOP 10 mondiale dei migliori gamification designers è stato insignito del Premio Lezioni di Design nell’ ambito del Fuorisalone di Milano. Dopo esser stato Coordinatore Didattico del Master in Engagement & Gamification presso IED Milano e membro del Comitato Scientifico del Master in Gamification presso Tor Vergata a Roma, oggi coordina l’Area Gaming della Scuola Internazionale di Comics di Firenze e svolge docenze annuali presso diverse Università italiane.