di Eugenio Tibaldi

Non ricordo la data esatta del giorno in cui Mariasole mi portò al Turino, era primavera inoltrata, avevamo comperato qualcosa da mangiare in una piccola bottega sul mare, poi eravamo saliti. Dei due ero io quello che viveva al sud eppure Albori non lo conoscevo per nulla. Lasciato il paesino sulla sinistra e fatta la salita del Turino inizia l'ascesa: trecento gradini fra ulivi, agrumi selvatici, fichi d'india e tappeti di zafferano spontaneo per giungere alla vigna. Si arriva in punta con il fiato corto, fra muri a secco e profumo di vegetazione scaldata dal sole battente e purissimo, ci si guarda indietro e c'è solo mare. Luce e mare.

Era il 2012 quando è partito il progetto di recupero della vigna della famiglia Montera. Per Mariasole e suo padre Enzo credo fosse un modo per ricongiungersi con una terra delle origini lontana almeno tre generazioni, per me, in modo diverso, rappresentava un atto di pace. Sono di Alba, da quella terra di grandi vini sono scappato fingendomi incompreso, Napoli in primis e la Campania tutta mi hanno adottato senza troppe domande e come madri benevole e distratte quando sono ripartito mi hanno lasciato andare.

Ciò che oggi è reale è che abbiamo provato, sbagliato e modificato per 12 anni il succo di questo fazzoletto di terra a picco sul mare prima di riuscire ad avere un prodotto in grado di raccontarci; tra fatica e frustrazione abbiamo compreso il senso del termine passione nella sua accezione più pura.

I numeri sono impietosi, tutto questo lavoro per tirar fuori 200 bottiglie di Rosso e 100 di bianco, con tempi di raccolta e vinificazione diversi per ogni uvaggio e con condizioni di lavoro a dir poco eroiche: in vigna non arriva nessun mezzo meccanico, basta una grandinata o un furto delle uve per annullare un'annata di desideri. Il Turino, quindi, non è una vigna, è un amplificatore di gioia e dolore, così quei tralci ed il loro frutto raccontano qualcosa che non si può tradurre ma solo semplificare.

Dopo dodici stagioni, nel 2023 abbiamo iniziato ad etichettare i vini, volevamo che anche questo passaggio parlasse di valore e relazioni ed abbiamo coinvolto degli amici artisti. La prima etichetta è stata ideata per noi da Domenico Antonio Mancini sposando a pieno il progetto e regalandoci due perfette sintesi minimali e feroci come il suo stesso lavoro, la seconda serie che quest'anno campeggia sulle nostre bottiglie è di Marco Raparelli che, con la sua ironia sottile e il suo tratto unico, ha dato una nuova ed inattesa lettura.

Per ogni edizione abbiniamo un piccolo pieghevole che racconta la vigna e l'artista, le bottiglie non sono in vendita e non lo saranno mai, le condividiamo con le persone a cui vogliamo bene raccontando loro che NERO TURINO e BIANCO TURINO sono imperfetti come imperfetta è la vita ed è per questo che per assaporarli è necessario perdonare ogni spigolo perché è dentro quegli spigoli che, come polvere, si è annidata la passione che ci ha spinto fino ad oggi. In questi tempi in cui sento parlare di riarmo e tensioni internazionali con Mariasole fantastichiamo di andare a rifugiarci nella piccola e remota terra del sud, sospesi nel tempo, fra quei colori che spezzano il cuore.

Per questo il Turino non è una vigna ma è l'ennesimo privilegio che questa vita ci ha regalato.

Eugenio Tibaldi. Artista da sempre attratto dalle dinamiche e dalle estetiche marginali, dal complesso rapporto fra economia e paesaggio contemporaneo. Nato ad Alba, nel 2000 si trasferisce nell'hinterland napoletano dove inizia un lavoro che indaga uno dei territori più plastici e dinamici d'Italia e traccia una sorta di mappa dell'informalità. Il margine, inteso come condizione spesso più mentale che geografica, che rappresenta l'unica via veramente in grado di generare possibilità alternative, altri livelli di lettura, che rappresentano la maggioranza della popolazione umana. Ha lavorato a Istanbul, il Cairo, Roma, Salonicco, Berlino, Verona, l'Avana, Bucarest,Torino, Caracas, Bruxelles, Tirana, Addis Abeba.