Le imprese culturali e creative: prospettive e criticità
Marco D'Isanto
Il motivo per il quale si è da tempo insistito per ottenere un riconoscimento normativo delle imprese che operano nel settore culturale e creativo non risiede nel tentativo, fin troppo prolifico nel nostro paese, di inseguire la tendenza alla generazione di nuovo qualifiche d’impresa, alcune di dubbia utilità, ma risiede essenzialmente nella necessità di mettere al centro delle politiche pubbliche un settore strategico per l’Italia che genera il 5,6 % del Pil e che attiva 250 miliardi nell’indotto (manifattura, turismo, servizi).
In Italia convivono soggetti pubblici e privati, profit e non profit, singoli professionisti e imprese – impegnati in una complessa e articolata rete di attività, dalla tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, allo spettacolo dal vivo, al cinema, all’industria dell’audiovisivo fino a comprendere settori come la moda o il design.
Tuttavia, il settore è penalizzato dalla mancanza di una tassonomia univoca e questo contribuisce a rendere debole la capacità di analisi della struttura economica e ostacola la definizione di politiche pubbliche efficaci.
Peso economico del sistema culturale e creativo in Italia
Secondo il Rapporto Io Sono Cultura (Symbola 2024), il sistema produttivo Culturale e Creativo (SPCC) ha generato nel 2023:
· 104,3 miliardi di valore aggiunto (+5,5% su 2022),
· 1,55 milioni di occupati (+3,2%).
Il comparto contribuisce al 5,6% del PIL e al 5,9% dell’occupazione nazionale. Tuttavia, nel Mezzogiorno, il contributo alla ricchezza è solo del 3,9%, e all’occupazione del 4,3%, con una più bassa specializzazione settoriale rispetto al Centro-Nord.
I dati elaborati dal Ministero della Cultura (Minicifre della Cultura, Edizione 2024, Ministero della Cultura) ci restituiscono un quadro altrettanto articolato.
Spesa pubblica in cultura
Nel 2022 la spesa pubblica italiana in cultura è stata di circa 8,9 miliardi di euro (0,8% della spesa pubblica totale)
Poco meno di 2/3 destinati ai servizi culturali (musei, biblioteche, spettacolo ecc.) e il resto a servizi radiotelevisivi ed editoriali.
Tra il 2020 e il 2022: +14% complessivo, con un +16% per i servizi culturali
A livello europeo, l’Italia è 4ª per volume di spesa pubblica (dopo Germania, Francia e Spagna) ma in ultime posizioni per incidenza percentuale sul totale della spesa pubblica
Il MiC (Ministero della Cultura) ha stanziato 3,6 miliardi nel 2023, in calo del 18% rispetto al 2022, ma comunque +26% rispetto al 2019
Risorse europee
PNRR: circa 4,3 miliardi di euro (2,2% del totale dei fondi), di cui oltre 1 miliardo per l’attrattività dei borghi.
PN Cultura 2021-2027: 648 milioni di euro suddivisi tra patrimonio digitale, efficientamento energetico e partecipazione culturale
Creative Europe 2021-2027: budget UE totale 2,44 miliardi (+66% rispetto al ciclo precedente). Tra il 2021 e 2023 i progetti con capofila italiani hanno ricevuto 39,5 milioni di euro.
Partecipazione del MiC a programmi europei (2021-2023): 14 progetti finanziati (Horizon, Erasmus+, Creative Europe) con 26,6 milioni totali, di cui 2,77 milioni al MiC
Risorse private
Art Bonus: tra 2021 e 2023 raccolti quasi 355 milioni di euro; nel 2023 il record con oltre 121,5 milioni. I principali mecenati sono imprese (48,2%) ed enti (47%), mentre i privati cittadini rappresentano il 4,8%.
Fondazioni di origine bancaria: nel 2022 hanno destinato 246,9 milioni di euro ad arte, attività e beni culturali (26% delle loro erogazioni totali)
Spesa delle famiglie
Nel 2022 le famiglie italiane hanno speso in media 32,17 euro al mese in cultura (≈19% della spesa per tempo libero)
Libri, giornali, riviste: 13,76 €
Servizi di informazione e comunicazione (streaming, TV, ecc.): 9,62 €
Servizi culturali (cinema, teatri, musei, biblioteche, siti): 4,77 €
Videogiochi e console: 1,56 €
Quote residuali per strumenti musicali, media audiovisivi, apparecchiature fotografiche
In sintesi: le risorse economiche per la cultura in Italia derivano da un mix di finanziamenti pubblici nazionali, programmi europei, mecenatismo privato (Art Bonus, fondazioni) e consumi delle famiglie. Dopo la pandemia, gli stanziamenti sono cresciuti, ma l’Italia resta indietro rispetto ad altri grandi Paesi UE per peso relativo della spesa pubblica in cultura.
Le ICC in Europa
Le Cultural & Creative Industries (CCIs) nella tassonomia europea includono una vasta gamma di attività che riguardano:
Archivi, biblioteche, musei, patrimonio culturale tangibile e intangibile;
Arti visive, arti sceniche (teatro, danza, musica), festival;
Audiovisivo (film, televisione, giochi, multimedia), radio;
Design, moda, architettura, artigianato artistico;
Editoria (libri, riviste), grafica, comunicazione. Cultura e Creatività+3Mercato Interno e PMI+3Creatives Unite+3
Dimensione economica e occupazionale
Ci sono circa 2,03 milioni di imprese culturali in UE (2022) che rappresentano il 6,3% del totale delle imprese nel settore business (industria, costruzioni, servizi).
Il valore aggiunto generato è di €199 miliardi, pari al 2,0% del valore aggiunto totale del settore business. Creatives Unite
In termini di occupazione: le CCIs impiegano 7,7‑8 milioni di persone nell’UE, cioè circa il 3,8% della forza lavoro.
Quasi tutte le imprese culturali sono PMI / micro‑imprese (meno di 10 dipendenti).
Tra i settori con più imprese ci sono creative, arts & entertainment, architettura, design specializzato.
La grande ricchezza culturale e di patrimonio storico di cui dispone l’Italia connessa con la forte tradizione artistica e l’elevata creatività rende questo settore economico particolarmente strategico nell’economia nazionale.
Il settore culturale è inoltre in grado di generare esternalità economiche importanti (turismo culturale, festival, media digitali, competitività delle imprese, innovazione) ed è in grado di generare anche significative esternalità positive in termini di coesione sociale, identità, sviluppo locale e sostenibilità.
La necessità, pertanto, di costruire una regolamentazione nazionale ed europea che sia in grado di supportare efficacemente questo settore rendendolo meno vulnerabile e maggiormente in grado di affrontare le sfide globali è oggi un obiettivo strategico del paese e dell’intera Europea.
Il riconoscimento “giuridico” delle Imprese Culturali e creative persegue l’obiettivo di perimetrare il settore e individuare la filiera di un comparto che in virtù della sua profonda eterogeneità sfugge ad un processo classificatorio.
Gli aspetti normativi
Il Decreto Ministeriale n. 402 del 28 Ottobre 2024 del Ministero della Cultura ha disciplinato le modalità e le condizioni per il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa (d’ora in poi anche ICC).
Si tratta di una qualifica giuridica istituita dall’art. 25 della Legge 27 dicembre 2023, n. 206.
La qualifica di ICC può essere assunta da qualunque ente, indipendentemente dalla sua forma giuridica, che svolge attività stabile e continuativa con sede in Italia e che operi in via esclusiva o prevalente in una o più delle seguenti attività: ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione e gestione di beni, attività e prodotti culturali o attività economiche di supporto, ausiliarie o comunque strettamente funzionali all'ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali.
L’art. 25 contiene tre importanti principi che delineano le ICC:
• la neutralità delle forme giuridiche e cioè la possibilità di acquisire la qualifica indipendentemente dalla struttura giuridica delle imprese;
• lo svolgimento in via esclusiva o prevalente di un’attività in campo culturale o creativo;
• la soggettività passiva in Italia secondo le norme nazionali e comunitarie;
• l’armonizzazione delle norme delle ICC con le disposizioni contenute nella Riforma del Terzo Settore (D. Lgs 117/2017 e D. lgs 112/2017).
Sul piano tecnico quella delle ICC è una qualifica giuridica che a differenza delle altre presenti nel nostro ordinamento è destinata ad “accogliere” un comparto che sia sul piano soggettivo che sul piano oggettivo si presenta molto diversificato.
Le criticità
Nell’esame degli aspetti normativi proveremo ad analizzare sinteticamente alcune criticità che l’attuale quadro regolamentare presenta.
La qualifica di ICC si acquista, sulla scorta di quanto avviene per qualifiche analoghe (vedi Imprese Sociali, d. lgs 112/2017), mediante l’iscrizione dell’impresa in una apposita sezione tenuta presso il Registro delle Imprese i cui dati andranno trasmessi annualmente al Ministero della Cultura.
Le attività devono essere sono tassativamente riconducibili alla classificazione ATECO.
Il decreto non è dunque riuscito a superare le attuali tassonomie basate sulle attività economiche produttive (ATECO) che traggono la propria origine dal framework europeo offerto dalla NACE (Nomenclature statistique des activités économiques dans la Communauté européenne). La riconducibilità del settore culturale nel perimetro della classificazione economica ATECO pur essendo una soluzione efficace sul piano tecnico rischia di non rappresentare adeguatamente le attività di supporto, ausiliarie o comunque strettamente funzionali alla produzione culturale e creativa.
Terzo Settore
Un’ulteriore criticità per l’acquisizione della qualifica giuridica di ICC è quella relativa al coordinamento con le norme settoriali dei vari soggetti operanti in ambito culturali tra cui, in primo luogo, quelle contenute nel Codice del Terzo Settore (D. lgs 117/2017).
La qualifica di ICC potrà essere acquisita, per esplicita previsione normativa, anche dagli enti di terzo settore che svolgono prevalentemente un’attività d’impresa: si fa riferimento innanzitutto alle imprese sociali e agli altri enti che svolgono in forma d’impresa una attività d’interesse generale nel settore culturale.
Il meccanismo di acquisizione della qualifica attraverso il sistema camerale consente di superare tali criticità in quanto la qualifica di ICC potrebbe essere acquisita anche degli enti di cui al titolo II del libro primo del codice civile e dagli enti del terzo settore che svolgono prevalentemente una attività d’impresa e dunque iscritti per disposizioni obbligatorie, nel Registro delle Imprese (art. 11 comma 2, D. Lgs 117/2017).
Le imprese sociali e gli enti di terzo settore operanti in campo culturale potranno cumulare la doppia qualifica.
La qualifica di ICC potrà infine essere acquisita anche dagli enti e dalle società partecipate da enti pubblici che operano in campo culturale anch’esse iscritte ordinariamente nel Registro delle Imprese.
È il caso, per esempio, delle Fondazioni culturali partecipate dal Ministero della Cultura o da altre amministrazioni pubbliche.
Il meccanismo di coordinamento tra queste norme presenta alcune criticità sul piano applicativo sia in termini civilistici (previsioni statutarie concordanti con le due normative) sia in termini operativi: le imprese sociali dovranno richiedere l’iscrizione in due sezioni speciali, quella appunto delle Imprese Sociali e quella delle Imprese Culturali.
Gli altri enti non lucrativi o di terzo settore dovranno preventivamente risultare iscritti presso il Registro delle Imprese e solo successivamente richiedere l’iscrizione nella sezione speciale delle ICC.
È pertanto necessario, per rendere effettivamente operativa la qualifica, la produzione di documenti di prassi, anche ad opera degli ordini professionali, che illustrino e accompagnino gli enti nel processo di acquisizione della qualifica.
Controllo dei requisiti
Il meccanismo di controllo è piuttosto debole.
Non si è previsto un meccanismo analogo a quello contenuto nella disciplina delle Start up innovative, le quali, a norma dell’art. 25 comma 3 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, sono obbligate a depositare presso il Registro delle Imprese una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dalla Legge.
Le start up sono inoltre obbligate entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, ad attestare il mantenimento del possesso dei requisiti previsti dalla normativa attraverso il deposito di una dichiarazione presso l’ufficio del registro delle imprese.
Anche le società benefit (Legge 208/2015, art. 1 commi 376 – 384) redigono annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario.
Il meccanismo di revoca della qualifica è invece affidato al Conservatore del registro delle imprese che agisce d’ufficio o su segnalazione di terzi nel caso in cui emergessero atti o fatti da cui derivi la perdita dei requisiti con conseguente cancellazione del soggetto dalla sezione speciale del registro.
Il rischio è che il settore si dilati oltre misura vanificando così la possibilità di raggiungere l’obiettivo dal quale si è partiti.
Conclusioni
Il quadro normativo delineato non è esente da criticità soprattutto sul piano applicativo. Siamo però di fronte ad un tentativo strutturato di perimetrare il settore culturale per costruire politiche pubbliche in grado di alimentare una prospettiva di crescita del comparto.
Particolarmente incoraggiante è la previsione contenuta nell’art. 30 della Legge 27 dicembre 2023, n. 206 dedicata al Piano nazionale strategico per la promozione e lo sviluppo delle imprese culturali e creative che avrà il compito di definire modalità organizzative e di coordinamento delle attività delle amministrazioni competenti, favorire la sinergia dei programmi e degli strumenti finanziari destinati al settore e lo sviluppo di sperimentazioni tecnologiche, incentivare i percorsi di formazione finanziaria e gestionale e lo sviluppo delle opere dell’ingegno e la tutela della proprietà intellettuale.
Si tratta di un passo in avanti nella definizione di politiche pubbliche in campo culturale. Il successo di questa iniziativa dipenderà da due fattori: la capacità delle ICC di cogliere la sfida partecipando convintamente al processo che è stato delineato e la volontà dei decisori pubblici di disegnare un sistema normativo e regolativo semplificato che accompagni le imprese culturali verso un processo di crescita. È interesse dell’Italia e dell’Europa che questo avvenga.
Marco D'Isanto è Presidente della Commissione Economia della Cultura ODCEC, Consulente Ministero della Cultura, Professore a contratto Università degli Studi della Tuscia, Componente del CDA della Soprintendenza Speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma.
