di Sara Braga

“Non esiste la storia. Io personalmente non ho nemmeno gli archivi. Non conservo niente. Ciò che mi piace è fare, non aver fatto. Non mi eccita per niente. Quando le persone iniziano a pensare che quello che hanno fatto nel passato è anche meglio di quello che stanno facendo, è segno che dovrebbero fermarsi. Molti miei colleghi, che hanno degli archivi, guardano ai loro vestiti come se fossero dei Rembrandt! Per favore, lasciamo stare”[2]

Il pensiero di Karl Lagerfeld può apparire estremo ed eccessivo ma, fortunatamente, non tutti nel mondo legato alla moda condividono la stessa opinione in relazione al passato e al luogo che lo può custodire, altrimenti questo breve articolo sarebbe già esaurito.
A proposito delle relazioni che legano la moda con la sua storia, Maria Luisa Frisa scrive: “[…] la moda è circolare perché ha un rapporto simultaneo con il futuro e con il passato. Questa attenzione a due diverse dimensioni temporali costringe la moda a quell’eterno ritorno che ripropone ciclicamente quelle che all’apparenza appaiono come ripetizioni delle stesse forme, e che sono invece ogni volta differenti, deformate dalle attitudini di quel gusto che le ha riportate in superficie.”[3]
Frisa descrive quindi una dinamica estremamente connessa al tema dell’archivio, concepito come il luogo in cui le diverse dimensioni temporali convivono simultaneamente e sono rese disponibili per lo studio e per la creatività.
Il settore moda condivide con la natura di un archivio questo rapporto complesso con il tempo, forse più di altri segmenti di produzione industriale; ma, a parte queste affinità elettive, perché creare un archivio di moda? qual è quindi il suo ruolo? Quali le sue funzioni?

Certamente l’archivio deve conservare, rappresentare e tutelare l’estro creativo e la poetica che hanno caratterizzato l’attività del marchio o del couturier. Tuttavia, un brand di moda oggi è, forse soprattutto, una realtà industriale, che fa avvicinare il suo archivio alla sfera dei musei d’impresa [4]. La produzione industriale che caratterizza le maison di moda ha un rapporto molto stretto con la sfera economica, ed è connessa quindi alle strategie di promozione e comunicazione che ne derivano. In questo senso l’archivio di un brand di moda rappresenta il punto di vista interno di un’azienda e ne svela i meccanismi di autorappresentazione.
A questo proposito possiamo ricordare la definizione generale fornita da Museimpresa del 2002, che stabilisce che i musei e archivi di impresa sono “istituzioni o strutture che siano emanazione di un’attività economica di un’impresa, di un distretto, di una tradizione produttiva con significativi legami con il territorio e che siano espressione esemplare della politica culturale dell’impresa.”[5]
L’archivio di impresa è composto quindi dall’insieme complesso di documenti e oggetti (estremamente eterogenei per qualità e quantità, ma coerenti con la struttura organizzativa dell’azienda) prodotti nell’esercizio dell’attività produttiva, per il raggiungimento di finalità contingenti, oltre che per la conservazione della memoria.[6]
La definizione di Museimpresa contiene ed esprime inoltre il carattere ambivalente del ruolo dell’archivio, come si deduce dall’esplicitazione dei legami con il territorio. L’archivio, quindi, se da un lato risponde a necessità interne dell’impresa, a strategie di promozione e di brand identity, dall’altro, essendo testimonianza della cultura materiale di una società, di un paese, concorre alla definizione del concetto di “heritage”.

Valutazione archivio__Open Care Art Advisory

Questo secondo ruolo è ben esposto da Marco Montemaggi che, nel suo saggio sull’heritage marketing, spiega come un archivio dovrebbe rispondere a quattro esigenze principali: funzione display, funzione storico istituzionale, funzione digestiva, funzione identificativa.
La funzione display è quella che porta all’esterno la rappresentazione dell’azienda, rafforzandone l’immagine corporate. La funzione storica ha il ruolo di evidenziare le radici storiche su cui l'azienda si basa (es: storia del prodotto, del fondatore, del territorio, della famiglia…). La funzione digestiva è quella che ha le maggiori ricadute operative all’interno dell’azienda: le operazioni di ricerca del materiale, selezione, catalogazione, digitalizzazione permettono di avere a disposizione materiale reso “nuovo”, sul quale innescare dinamiche progettuali e comunicative. La quarta funzione, quella chiamata identificativa, è quella che connette l'azienda con il territorio circostante, mettendola in relazione con istituzioni culturali e rendendola parte dell’heritage collettivo.[7]

Le varie maison nel campo moda sono sempre più consapevoli del potenziale di questo orizzonte e sempre di più quindi tendono a inserire l’heritage nelle loro strategie aziendali, sia di marketing che di produzione. È come se l’heritage attribuisse una consistenza “materiale” al concetto, fondamentalmente astratto, di identità. Così, i vari uffici stile recuperano pezzi iconici per citazioni, ispirazioni e riedizioni e gli uffici marketing utilizzano la logica dell’heritage per individuare i tratti costitutivi caratteristici del brand, renderlo distinguibile e desiderabile per il consumatore.
Sempre nel suo saggio, Montemaggi prosegue nell’analisi, sottolineando come, affinché le funzioni dell’archivio abbiano una ricaduta attiva in termini di brand marketing, sia necessario che il contenuto materiale dell’archivio sia supportato da una narrazione che metta in relazione il passato e il futuro. Non stupirà allora che negli ultimi decenni siano proliferate espressioni di queste narrazioni, declinate in musei di impresa[8], mostre ed esposizioni nelle principali città europee ed italiane.
Il primo museo di un'azienda di moda in Italia è stato il museo Ferragamo, aperto nel 1995 con l’intenzione di valorizzare storicamente l'attività di Ferragamo, farla conoscere al pubblico e agli studiosi, “avere il dovere di lasciare una testimonianza di sé, delle proprie ricerche, della propria creatività in particolare ai più giovani”.[9]
Il museo Ferragamo ha sede a Firenze, nella sede storica dell’azienda. La struttura ospita lo spazio museale, dove le opere di Ferragamo sono esposte a rotazione, l’archivio e una biblioteca specializzata in storia della moda e della calzatura. L’archivio trova le sue origini con lo stesso Ferragamo che già negli anni Venti del Novecento aveva l’ottima abitudine di conservare modelli di calzature, pellami, strumenti di lavorazione, brevetti, fotografie etc.
Particolarmente significativo, nel caso di Ferragamo, è la parte dell’archivio relativa ai brevetti, che sono caratterizzanti della sua attività e del passaggio da una produzione esclusivamente artigianale a una industriale.
Esiste ad oggi uno strumento interessante e indicativo di un crescente interesse per questo settore, cioè il Portale degli archivi della moda del Novecento[10]; nato nel 2011, ha come obiettivo avvicinare in modo semplice un pubblico non solo specialistico alle fonti del patrimonio archivistico, bibliografico, iconografico, audiovisivo relativo alla moda italiana. Attraverso un censimento guidato dalle Soprintendenze, esso traccia 220 soggetti conservatori, 385 complessi archivistici, 348 soggetti produttori e 28 percorsi tematici dedicati agli aspetti più significativi della moda italiana.

Servizio di inventariazione, valutazione e valorizzazione degli archivi. Open Care - Servizi per l'Arte

Arriviamo a questo punto a chiederci come si inserisce l’attività di Open Care nel panorama che abbiamo brevemente tratteggiato sin qui.
Comprensibilmente, come conseguenza agli sforzi di creazione e gestione degli archivi aziendali, negli ultimi anni è andata crescendo anche la richiesta di attribuire un VALORE ECONOMICO a questi archivi.
Tendenzialmente, anche la valorizzazione economica dell’eredità storica muove da una esigenza attuale e pratica dell’impresa, sia questa una necessità assicurativa, per proteggere i beni da eventuali perdite o danni, sia una necessità legata ad un processo di merger/acquisition o di inserimento a bilancio dell’archivio considerato come asset aziendale.
La prima tematica che appare evidente affrontando un qualsiasi archivio di moda è strettamente legata alla natura stessa dell’archivio: quante e quali differenti tipologie di beni si trova ad affrontare il valutatore incaricato? L’eterogeneità dei materiali e dei fondi, che corrispondono alle diverse fasi della progettazione e produzione è sicuramente una delle caratteristiche principali di questa tipologia di archivi[11]. Fotografie, immagini, pubblicità, video, rassegne stampa; e poi i tessuti, i disegni, i look book, l’archivio prodotto[12]: capi e accessori, progetti speciali, pezzi unici. Non da ultimo tutta la parte amministrativa, documentale e storica, legata alla nascita del marchio e alle vicende dei fondatori[13].
Confrontarsi con questa eterogeneità di materiali comporta necessariamente l’elaborazione di un metodo che ne tenga conto e il più delle volte si deve considerare la necessità di stabilire un approccio custom made.
A questa criticità, legata alla eterogeneità dei beni da valutare, che deve essere analizzata di volta in volta e si fatica a prevedere in un protocollo univoco, si aggiunge la mancanza di linee guida condivise a livello nazionale e ministeriale che indichino come approcciare gli archivi d’impresa.  
Sono disponibili degli studi, come ad esempio quello del Politecnico di Milano per Museimpresa (2022) [14], che forniscono linee guida per l’autovalutazione dell’impatto e delle performance dell’archivio/museo per le imprese, utili per la comunicazione e per il brand dell’impresa. Questi studi, tuttavia, non forniscono indicazioni ai fini della valutazione economica dei beni d’archivio, piuttosto mirano a quantificare le plusvalenze generate dall’archivio rispetto alle risorse allocate dall’azienda.

Restauro abiti. Dipartimento di conservazione e restauro arazzi e tessuti, Open care Servizi per l’Arte

Negli ultimi anni Open Care si è impegnata per identificare un metodo di valutazione degli archivi aziendali (che possa quindi essere applicato anche gli archivi di moda) che si ispiri ai princìpi internazionali di valutazione comunemente applicati[15] e che, mettendo a sistema diversi indicatori di valore, li confronti e li restituisca in una adeguata sintesi valutativa.
Operativamente, il primo step ai fini della valutazione è necessariamente la definizione del perimetro dell’incarico, a cui segue l’analisi dei beni compresi in tale perimetro, che potranno essere considerati unitariamente o per nuclei.
Se la moda è sempre più avvicinata all’arte e i suoi esponenti ad artisti, alcuni prodotti non potranno che essere considerati alla stessa stregua di beni con valore artistico e quindi oggetto di un certo interesse collezionistico. Da qui il tentativo di individuare e selezionare quegli elementi o cluster presenti nell’archivio che, per particolari caratteristiche esecutive e per nostra sensibilità, possono essere paragonati ad analoghi beni scambiati sul mercato specialistico di opere d’arte o di design (potrebbero essere fotografie, bozzetti, schizzi ecc.…).
A questi elementi o cluster potrà quindi essere attribuito un valore che si desume dal confronto con gli scambi commerciali di elementi analoghi.
Per tutto ciò che, invece, non ha un riscontro sul mercato, si utilizzerà un valore parametrico calibrato a seconda di una serie di fattori come la completezza delle serie, lo stato di conservazione, il periodo storico, il condizionamento, la rilevanza per la ricerca storica e la rarità e pregio degli esemplari.[16]
In alcuni casi, tuttavia, ci siamo resi conto di come questi approcci non siano sufficienti alla determinazione del valore finale complessivo dell’archivio; una possibile soluzione è allora integrare le precedenti metodologie all’analisi del valore d’uso, riferibile alle risorse impiegate per la costituzione e gestione dell’archivio, oltre che alla sua fruibilità. Potremmo quindi ritrovarci a considerare anche le evidenze dei costi sostenuti per l’organizzazione e la realizzazione dell’archivio poiché un migliore ordinamento, digitalizzazione e fruibilità incidono in maniera direttamente proporzionale sul suo valore finale.
Nel complesso panorama delle considerazioni da fare per arrivare ad assegnare un valore economico ad un archivio, aggiungiamo che, nel caso di valutazioni patrimoniali, un elemento importante che grava sensibilmente sul valore è la presenza di eventuali vincoli ministeriali[17].

Valutazione di un archivio aziendale, settore moda. Open Care Art Advisory

Prima di concludere, un breve inciso deve essere fatto anche per quanto riguarda quella che noi indichiamo come “multidimensionalità del valore” degli archivi di impresa: accanto al valore dei beni tangibili si deve considerare quel valore intangibile dato dalla presenza di brevetti e marchi. Parimenti, devono essere valutati i complessi aspetti relativi ai diritti di proprietà intellettuale, legati a doppio filo alla sempre più decisa affermazione della valenza artistica delle creazioni (disegno, bozzetto…) dei couturier: questo è un aspetto che necessita l’analisi da parte di professionisti specializzati, con cui riteniamo sia sempre importante lavorare in sinergia.

Conclusioni

Anche il mondo della moda, che siamo soliti associare al veloce mutamento e all’esaltazione dell’effimero, trova nel richiamo al passato una crescente legittimazione identitaria e, mai come oggi, la moda e l’archivio rappresentano due mondi vicini che si sostengono vicendevolmente.
L’attenzione rivolta agli archivi e l’importanza che viene attribuita loro spingono sempre di più i vari soggetti detentori o i possibili acquirenti a richiedere una valutazione economica di questi asset.
Siamo in una fase di continua sperimentazione ed evoluzione, una ricerca che si alimenta dal confronto tra i professionisti chiamati a cimentarsi con questa materia; è un terreno per tanti versi ancora inesplorato (si pensi ad esempio alla frontiera del nativo digitale,) che lascia ampi spazi di manovra al valutatore e allo stesso tempo una notevole responsabilità.


Sara Braga dal 2015 lavora nel dipartimento di Art Consulting di Open Care Servizi per l'arte, azienda che dal 2002 si occupa di valutazioni e valorizzazioni di collezioni d’arte private e corporate. La sua competenza si è focalizzata in particolare sulla gestione e valutazione di archivi aziendali, di brand di moda e designer, anche in relazione alla digitalizzazione e fruizione online.

Sede Open Care - Servizi per l'ArteSede Open Care - Servizi per l'Arte

[2] Cit. in C. Evans e A. Vaccari (a cura di), Il tempo della moda, Milano-Udine, Mimesis, 2019, p. 153

[3] Cit. in M. L. Frisa, Le forme della moda, Il Mulino, Bologna 2015, pp. 19-20; 22

[4] “Nel parlare di impresa stiamo trattando di particolari soggetti privati che producono qualche cosa. Il minimo comune denominatore è astrattamente questo «produrre qualcosa», sia esso un oggetto materiale o un servizio” Cit. in A. Bilotto «Un archivio d’impresa: sempre un composto di due ingredienti», in Archivi d’impresa, Edizioni ANAI, 2020

[5] F. Bulegato, I musei d’impresa. Dalle arti industriali all’industrial design, Bologna, Carocci, 2008, p. 55.

[6] T. Fanfani, “Archivio storico di impresa” in L’impresa dell’archivio. Organizzazione, gestione e conservazione dell’archivio di impresa, Firenze, Edizioni Polistampa, 2012, pp. 20-21

[7] M. Montemaggi, F. Severino, Heritage Marketing. La storia dell’impresa italiana come vantaggio competitivo, Milano, FrancoAngeli, p. 113

[8] In Italia i primi archivi e musei d’impresa vennero creati negli anni Ottanta, crescendo di numero nei due decenni successivi. Secondo i dati ISTAT, nel 2011, i musei d’impresa presenti in Italia erano 85 (sui 3800 musei del territorio nazionale). Si veda l’analisi in L. Solima, “Imprese e musei d’impresa. Dalla comunicazione storica all’immagine aziendale”, in Storia d’impresa e imprese storiche: una visione diacronica, Franco Angeli, 2014, pp. 434–51

[9] Cit. in F. Bulegato, I musei d’impresa. Dalle arti industriali al design, Bologna, Carocci, 2008, pp.149-150

[10] Il progetto, elaborato dall’ANAI, Associazione Nazionale Archivistica Italiana, e promosso dalla Direzione generale per gli archivi, è stato presentato a Firenze il 12 gennaio 2009, in occasione di Pitti Immagine Uomo.

[11] Per gli archivi di impresa, in generale, è stato utilizzato il termine “multitipologico”, cioè un archivio «[…] formato da molteplici tipologie documentarie quali scritti, disegni, stampe, registrazioni audio e audiovideo, oggetti e manufatti. Manifestazione di una società che ha a disposizione una grande varietà di forme e modalità di rappresentazione di sé e della memoria e che utilizza indifferentemente lo strumento più appropriato per memorizzare la propria attività.» cit. in D. Brunetti, “Gli archivi della contemporaneità” in Le Muse in archivio, edizioni ANAI, 2021

[12] È solo nel 2002 che, con la pubblicazione del saggio «L’Archeologia del documento di impresa, l’Archivio del prodotto» in Rassegna degli Archivi di Stato, LXII, viene diffusa la definizione terminologica “archivio del prodotto”; Inoltre, «[…] fu difficile far accettare l’importanza e l’equivalenza nel trattamento archivistico dell’archivio del prodotto» cit in A. Bilotto e M. Guercio, «Problemi e prospettive: uno sguardo al futuro», in Archivi d’Impresa, ANAI, 2020

[13] “Le tipologie documentarie che li compongono si possono solo schematizzare genericamente perché dipendono dalla specificità del prodotto e sono complicate dal fatto che le imprese sono istituzioni molto dinamiche che nel tempo possono procedere a cambiamenti sia nella forma giuridica che nella stessa attività produttiva”. Cit in A. Bilotto «Un archivio d’impresa: sempre un composto di due ingredienti», in Archivi d’impresa, edizioni ANAI, 2020

[14] “Il museo e l’archivio d’impresa: asset strategici aziendali nell’era del digitale”, in Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, 2022. Il valore viene definito come “la differenza positiva tra i benefici economici, sociali e culturali prodotti per gli stakeholder e l’organizzazione stessa e le risorse investite”

[15] Si fa riferimento nello specifico a:

•       IFRS 13, Appendix A, B8:
The cost approach reflects the amount that would be required currently to replace the service capacity of an asset (often referred to as ‘current replacement cost’).
B9: “… construct a substitute asset of comparable utility …”

•       IVS 105 70,80, 80.2:
“Generally, replacement cost is the cost that is relevant to determining the price that a market participant would pay as it is based on replicating the utility of the asset, not the exact physical properties of the asset.”

•       UK FRS 30.11:
“… in the virtue of the service potential they provide, heritage assets meet the definition of an asset …”

[16] La componente documentale che non sostiene un eventuale interesse collezionistico potrà essere valutata con il metodo ministeriale del metro lineare a cui ovviamente andremo ad applicare i coefficienti previsti dalla normativa

[17] A partire dal 1964, il numero di dichiarazioni emanate riguardanti gli archivi di impresa è di 515 su un totale di 2506 archivi vincolati, pari al 20%, confermandoci l’attenzione riservata nell’attività ispettiva delle Soprintendenza a questa tipologia di archivi. Cfr.  A. Mulè, “Dati difficili, considerazioni sulla tutela sugli archivi d’impresa a partire dai dati disponibili” in Archivi d’Impresa, Ed. ANAI, 2020