Sostenibilità e cultura rischiano di diventare parole vuote se non accompagnate da un lavoro di ricerca costante, capace di interrogarle nel tempo. Solo un’indagine continua può restituire loro urgenza, profondità e direzione. In questo senso, il Report 4C della Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura segna un passaggio cruciale. Non soltanto per i dati raccolti, ma per lo sguardo con cui osserva un settore in trasformazione, segnato da fragilità strutturali ma anche da segnali concreti di reazione.

L’indagine ha coinvolto oltre mille organizzazioni culturali in tutta Italia, selezionandone 770 per l’analisi quantitativa. Sono stati mappati nove settori: Musei e Istituzioni Culturali; Performing Arts, Eventi e Festival; Arte Contemporanea e Gallerie; Cinema e Produzione Audiovisiva e Musicale; Editoria; Artigianato Artistico; Design e Moda; Educazione Artistica e Formazione. Realtà eterogenee per dimensioni e risorse, ma accomunate da strutture gestionali complesse, che influenzano profondamente la possibilità di affrontare una transizione ecologica concreta.

Il quadro è chiaro: la consapevolezza ambientale c’è. Il 75,5% delle organizzazioni dimostra un livello alto di sensibilità, con metà del campione sopra l’80%. Tuttavia, solo il 47,7% riesce a trasformare questa consapevolezza in azioni strutturate. Un divario che dimostra come la volontà, da sola, non basti.

Le difficoltà principali sono interne: mancanza di tempo (14,7%), carenza di personale (12,8%) e assenza di competenze tecniche (12,3%). Dati che raccontano di realtà piccole, dove pochi operatori ricoprono più ruoli e il tempo per rivedere i processi non esiste semplicemente.

Sorprende che non sia la scarsità di fondi l’ostacolo principale. Le difficoltà economiche e logistiche risultano tra le barriere meno segnalate. Non si tratta solo di soldi, ma di tempi, competenze e capacità operative.

Solo il 21% delle organizzazioni ha un Green Team, e appena il 2% può contare su personale dedicato alla sostenibilità. La sostenibilità viene spesso vissuta come una responsabilità condivisa, ma raramente si traduce in ruoli e risorse specifiche, né in strategie di lungo periodo.

Tra i settori, spiccano gli eventi culturali e i festival: mostrano la distanza minore rispetto ai target di decarbonizzazione. Un settore su cui si è concentrata una parte significativa del lavoro, anche grazie alla collaborazione con TrovaFestival e Studio Lombard DCA nella redazione delle prime Linee guida per festival sostenibili. Non solo ricerca, ma anche strumenti operativi: checklist, criteri di valutazione, buone pratiche.

L’obiettivo è chiaro: rendere la sostenibilità una componente strutturale della progettazione culturale, non un’aggiunta. Mobilità del pubblico, selezione dei fornitori, uso responsabile dell’energia e dei materiali non sono più dettagli, ma scelte decisive.

Più in difficoltà, invece, i musei e le istituzioni culturali, che rappresentano il 60% del campione. Vincoli architettonici e complessità gestionali rendono più difficile adottare misure concrete. Ma non si tratta solo di aspetti tecnici: servono strumenti agili, visioni condivise e percorsi formativi in grado di accompagnare il cambiamento.

Eppure, non mancano segnali incoraggianti: il 59% delle organizzazioni monitora i consumi energetici e il 60% promuove comportamenti sostenibili tra il personale. Restano invece marginali i temi legati ai consumi alimentari (27,6%) e ai trasporti (27,3%), con due terzi delle realtà ancora ferme nella fascia di attivazione più bassa.

Nel 32,4% dei casi, sono gli stessi pubblici a chiedere maggiore attenzione ai temi ambientali. La transizione ecologica non è quindi solo una spinta interna o una risposta ai bandi, ma una richiesta che arriva dai territori e dalle comunità.

Circa un terzo delle realtà analizzate ha già intrapreso un percorso coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione. Non un traguardo, ma un segnale positivo: esiste già una parte del sistema pronta a fare da traino. Un potenziale che va riconosciuto e messo a sistema. Tra le azioni più diffuse troviamo: l’uso di partenariati pubblico-privati, che evidenziano il forte radicamento territoriale di queste realtà;  la capacità di attrarre fondi tramite bandi e progetti nazionali ed europei; la selezione di partner progettuali, fornitori e finanziatori secondo criteri sostenibili; l’adozione di misure per incentivare la mobilità alternativa (es. indicazione di ciclopiste, parcheggi con navette, navette dedicate); l’impiego di tecnologie innovative, sia a livello strutturale-edilizio sia nella gestione degli spazi e delle risorse.

Siamo però ancora in una fase iniziale, priva di una cornice condivisa, con una governance assente e strumenti ancora insufficienti per garantire continuità alle buone pratiche.

Dalle conclusioni emerge un altro dato interessante: sono spesso le organizzazioni culturali situate in aree marginali e nel Sud Italia – pur svantaggiate per infrastrutture e finanziamenti – a mostrare una maggiore reattività. La vicinanza ai bisogni locali e una maggiore flessibilità operativa sembrano compensare un minore supporto esterno.

Si arriva così alla stesura di alcune buone pratiche: non un vademecum definitivo, ma una base concreta per dare coerenza e omogeneità alle azioni nel settore. E per rafforzare quella professionalità legata alla sostenibilità, ancora carente ma oggi sempre più supportata da percorsi formativi interni e trasversali al personale.

Il Report si chiude con un’indicazione chiara: non è più il tempo della sola sensibilizzazione, ma della sistematizzazione. La sfida non è attivare il cambiamento, ma consolidarlo, renderlo strutturato e accessibile anche alle realtà più fragili.

Questi dati, pur mettendo in luce le difficoltà, rappresentano una chiamata all’azione. Perché la decarbonizzazione in ambito culturale non è solo una responsabilità verso il pianeta, ma anche un’opportunità per rafforzare il legame tra cultura, comunità e futuro sostenibile. E grazie a ricerche come quella della Fondazione Santagata, possiamo muoverci con consapevolezza, competenza e coraggio verso un cambiamento che deve diventare realmente accessibile a tutte le realtà culturali.

Beatrice Carrara

Beatrice Carrara
Aree: Sostenibilità, Cultura
Storica dell’arte e studentessa magistrale presso l’Università degli Studi di Bergamo, dove approfondisce i temi legati alla valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale. Si occupa della redazione di bilanci sociali e di sostenibilità e di attività di ricerca sul mercato dell’arte.