La nascita della sezione speciale del Registro Imprese, operativa dallo scorso 30 settembre, riservata alle Imprese Culturali e Creative segna un passo importante nel riconoscimento del valore economico e sociale della cultura in Italia, fornendo una cornice giuridica chiara a un settore da sempre frammentato, che contribuisce in modo rilevante alla crescita del Paese, ma che finora non godeva di una definizione univoca. Un passo necessario ma che apre anche a nuovi interrogativi applicativi.

1) Il primo nodo riguarda la classificazione delle attività che la normativa riconduce ai codici ATECO. Questa scelta, se da un lato assicura un criterio tecnico oggettivo, dall’altro rischia di risultare troppo rigida, in certi punti troppo ampia, in altri escludente. Limitarsi alla classificazione ATECO potrebbe dunque escludere attività che, pur non essendo direttamente produttive, sono essenziali per l’ecosistema culturale.

2) Un secondo aspetto critico riguarda i soggetti iscritti solo al REA. Il decreto consente l’iscrizione alle organizzazioni senza scopo di lucro che svolgono un’attività economica: una possibilità che, se da un lato amplia la platea dei potenziali beneficiari, dall’altro genera ambiguità. Come può un soggetto non imprenditoriale essere riconosciuto come “impresa” culturale? Senza un chiarimento operativo, si rischia di creare una categoria ibrida con inevitabili incertezze su adempimenti, responsabilità e controlli. Molte organizzazioni, poi, operano come enti non profit o imprese sociali e, in teoria, possono acquisire anche la qualifica di impresa culturale e creativa. Questa doppia appartenenza, però, comporta oneri amministrativi e possibili contrasti normativi: sarà necessario iscriversi in due sezioni del Registro delle Imprese, adeguare gli statuti e garantire la coerenza tra finalità civiche e attività economiche.

3) L’assenza di un monitoraggio costante, poi, potrebbe indebolire la credibilità dell’intero impianto, consentendo l’ingresso di soggetti solo formalmente culturali e rendendo più difficile l’attuazione di politiche pubbliche mirate. La revoca della qualifica, infatti, è affidata al Conservatore del Registro delle Imprese e avviene solo su segnalazione o d’ufficio, un meccanismo di controllo che appare poco incisivo.

4) Cruciale, poi, è l’aspetto riguarda i possibili futuri finanziamenti e incentivi: la qualifica di ICC potrebbe diventare un requisito per partecipare a bandi e programmi di sostegno, ma serviranno criteri trasparenti per evitare sovrapposizioni con altri regimi agevolativi.

5) A ciò si aggiunge il tema delle competenze: il riconoscimento formale deve accompagnarsi a percorsi di formazione manageriale e digitale per rafforzare la professionalità degli operatori.

Nonostante le criticità, il nuovo sistema rappresenta un tentativo concreto di definire un perimetro istituzionale per il settore culturale e creativo. La previsione di un Piano nazionale strategico dedicato allo sviluppo delle imprese culturali e creative apre la possibilità di coordinare meglio le politiche pubbliche ma sarà fondamentale un coordinamento efficace tra Ministero della Cultura, Regioni e Camere di Commercio, per evitare applicazioni disomogenee sul territorio.

Il riconoscimento delle imprese culturali e creative è, dunque, una scommessa su un settore che unisce identità, economia e innovazione. Se le istituzioni sapranno gestire con equilibrio la fase applicativa e fornire strumenti chiari a imprese, professionisti ed enti del Terzo Settore, la nuova qualifica potrà diventare non solo un adempimento formale, ma una leva di crescita per tutto il comparto.

Il tema è al centro dell’ultimo numero della rivista AES, prodotta dallo Studio Lombard DCA, presentato lo scorso 28 ottobre, con approfondimenti e contributi di esperti del settore, e sarà oggetto di dibattito la prossima settimana in occasione di Common Ground, un evento a porte chiuse che si svolgerà il 26 novembre, organizzato da Studio Lombard DCA, Milano Notai e Le dimore del quartetto.

Franco Broccardi

Esperto in economia della cultura e della sostenibilità, arts management e gestione e organizzazione aziendale, Franco Broccardi è consulente, membro di cda e revisore di musei, teatri, gallerie d’arte, fondazioni, festival e associazioni culturali.
Si occupa di consulenza e formazione per fondazioni bancarie, istituzioni pubbliche e private in materia in materia di terzo settore, gestione e organizzazione di istituzioni culturali e di mercato dell’arte.
Co-fondatore e partner dello studio Lombard DCA di Milano e fondatore e curatore della rivista ÆS Arts+Economics.
Professore a contratto in Economia del patrimonio culturale presso l’Università degli Studi di Bergamo. Tra le altre cariche è presidente della commissione di Economia della Cultura presso la Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti, consulente per le politiche fiscali di Federculture, membro della commissione tecnica a supporto del consiglio direttivo oltre che membro del gruppo di lavoro Bilancio sociale di ICOM Italia – International Council of Museums, consulente di ADEI – Associazione Degli Editori Indipendenti.