di Silvia Casagrande

L’ammirazione delle cose passate di moda è ancora più elegante del seguire la moda, e d’altronde diventa prestissimo moda.
Marcel Proust, Lettera a Robert Dreyfus

Non è un mistero che Marcel Proust sia stato un interprete raffinato dell'eleganza della sua epoca e che nel “suo viaggio a ritroso nel tempo” l'intreccio complesso e puntuale tra abiti e memoria abbia avuto un ruolo sostanziale.[1] Già in gioventù, nelle pagine de “Le Gaulois”, lo scrittore francese mostra una particolare sensibilità per l'abbigliamento, ma ne la Recherche, suo capolavoro, gli affida ben più di un posto in seconda fila. Qui la caratterizzazione della donna attraverso la sua eleganza è molto chiara; qui gli abiti non sono semplicemente un simbolo “[…] piuttosto uno specchio: essi subiscono la stessa parabola della persona.”[2]
Questa scrittura straordinaria ci rammenta che la veste non rappresenta solo l'esteriorizzazione del personaggio/persona, ma esprime la sublimazione del reale attraverso la memoria. Gli abiti, come forzieri dai quali distillare tutto ciò che non è esprimibile o più oggettivamente vivo, una volta affidati alla rielaborazione del sentimento, si potenziano e tracciano la via attraverso cui recuperare il Tempo solo creduto Perduto.

Nelle intermittenze della memoria, ieri come oggi, la moda acquisisce un'allure irripetibile; sospesa nelle oscillazioni del tempo ne diventa l'ombra sensibile e visibile. Nella sua accezione più comune la moda interpreta l’aspetto effimero della vita, perché costretta di continuo a variare. È Giacomo Leopardi, nel Dialogo della Moda e della Morte, capitolo meno noto delle sue Operette morali, a ricordarcelo quando ironizza sulla Morte affiancandola per vanità e caducità alla Moda. La Morte smemorata non la riconosce, ma immediatamente la più audace sorella le ricorda: “sono la Moda, tua sorella. […] l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù […].”[3]

In realtà la moda è una sorta di perpetuum mobile che per mantenere perenne il suo esistere deve cambiare sistematicamente pelle fino a ritornare nelle sue stesse spire in una sorta di viaggio dell'eterno ritorno, coincidendo così con l'andamento del tempo nel suo scorrere.
“Ogni verità è curva,” - dirà Friedrich Nietzsche in Zarathustra - “il tempo stesso è un circolo”[4]; l’andare in avanti è, insieme, un tornare indietro, perché andando avanti ci si muove, restando in un circolo, verso il punto di partenza, l'archè, il principio.
La moda, dunque, vista nella sua traiettoria, si fa meridiana, segno mobile, del Tempo; la sua oggettivazione, seppur fugace. E se ben articolata, come in un Archivio, diviene allora traccia della Storia, e come la sua ombra, può tornare all'oggi per aiutarci a cogliere, vedere e riferire nella visione del passato la promessa del futuro.
Non c'è solo un tempo, ci suggerisce la fisica: ce ne sono molti e interdipendenti. “L'archivio, in ambito culturale, non è altro che una sorta di modello rivelatore di questo assunto: il paradigma di questa temporalità moltiplicata”[5], puntualizza Marco Scotini in L'inarchiviabile.

L'archivio, confuso per definizione, con lo stoccaggio del passato, è in realtà un serbatoio infinito d'immagini e suggestioni di ieri, continuamente ridiscusse nell'oggi e messe in relazione con l'avvenire; è un potente strumento per il riposizionamento della memoria, in una trasformazione del regime temporale inteso, fallacemente, in termini lineari.  È un lemniscus, la doppia curva che porta all'infinito, che ribalta la logica sequenziale dello svolgersi dei fatti.

Se attivo e vivo mette costantemente in discussione tutto ciò che è accaduto, che accade e che accadrà e per questo non deve essere mai un sistema ultimativo, ma sempre aperto e mutevole nel tempo.[6] Ne sono esempio gli Archivi storici di moda, anche quelli di marchi estinti. Il loro esistere non riguarda semplicemente la conservazione o il consolidamento della memoria, ma l'attualizzazione del passato. Spesso iniziati dai creativi stessi, gli stilisti, che nella presenza/assenza, nell'ordine/disordine dei documenti selezionati e depositati hanno lasciato una chiara traccia di sé, o meglio, della visione di sé. Un indizio o un inizio del racconto, un cominciamento.

Così è l'archivio storico di Germana Marucelli, l'antesignana della moda italiana[7], la cui eredità artistica, dopo la sua scomparsa nel 1983, è ora custodita dall'Associazione Culturale a lei dedicata.  Qui è articolato il materiale del racconto della sua vita, raccolto a cominciare da Marucelli stessa, e mantenuto vivo, dunque nutrito di continuo, non solo da ricerche e riflessioni apportate da osservatori di volta in volta esterni, ma anche dall'acquisizione di sempre nuova documentazione. Ogni oggetto conservato, da abiti a lettere, da fotografie a ritagli di giornali, è messo in dialogo a creare una fitta narrazione, una lettura d'insieme, in un proliferare di assemblaggi tra loro paralleli e combinatori, mai totalizzanti e sempre co-presenti.

Germana Marucelli durante le prove abito nel suo atelier in Corso Venezia, Milano, 1953, Fotografia Federico Garolla, Materiale d'archivio. Archivio Germana Marucelli. Cortesia Associazione Germana Marucelli, Milano.

L’archivio di Germana Marucelli beneficia della sua lungimiranza; consapevole di trovarsi addentro ad avvenimenti epocali ancor prima che si concretizzino, Marucelli inizia nel 1943 a tenere dei diari dove, con una forza profetica, concatena i fatti della sua vita nel loro svolgersi e li organizza descrivendoli con puntale precisione ancor prima che essi diventino Storia: “Ripensando a quei tempi, mi rendo conto come fossi designata[8], così appunta. Li richiama poi nel tempo alla memoria, sino al finire dei suoi giorni, riscrivendoli e arricchendoli di volta in volta di nuove letture e nuovi sguardi. Nell'afferrare i segni sepolti nella memoria, sospesi tra passato e presente, come nel succedere una collezione di moda all'altra, Marucelli tende sempre a costruire un racconto aperto. Narra i fatti vissuti o ricordati, senza mai interpretarli, e una volta depositati nell'Archivio, suo custode, vengono sistematicamente predisposti per essere l'inizio di mondi possibili, oltre la loro attualità, infiniti e atemporali in una potenziale lettura plurisemantica.

L'attività di Marucelli lo era, plurisemantica.  Oltre a essere stata la prima creatrice di moda italiana a rifiutare con fermezza il predominio dell’haute couture francese e ad adoperarsi attivamente per la nascita di quella italiana, ha sempre tenuto stretti rapporti con il mondo dell’arte e della cultura del suo tempo. Non solo, infatti, da attenta conoscitrice dell’animo femminile, con i suoi capi ha anticipato tendenze e stili, ma sin dai suoi esordi si è avvicinata all’arte e alla cultura condividendo con i suoi amici, artisti e intellettuali, l'urgenza di avviare un processo di rinascita della cultura italiana. Nel 1947 istituisce un premio di poesia, il “Premio San Babila”, e avvia un salotto culturale nelle stanze della sua sartoria. Contemporaneamente, a partire dal dopoguerra e fino all'abbandono delle passerelle nel 1972, instaura con gli artisti del suo tempo, da Paolo Scheggi a Getulio Alviani, dialoghi aperti che hanno portato a “fruttifere” e memorabili collaborazioni.[9]

Abito da sera linea Fraticello, Autunno/Inverno 1954-55, qui indossato dalla modella Ivy Nicholson. Fotografia Interfoto. Materiale d'archivio. Archivio Germana Marucelli. Cortesia Associazione Germana Marucelli, Milano.

Ma è l'attualità del passato o La presenza del passato, parafrasando il titolo della prima Biennale di Architettura diretta nel 1980 da Paolo Portoghesi e varo dell'era postmoderna, che la identifica meglio; in altri termini, è l'aver anticipato di decenni la visione sincronica della Storia con il suo esplicito invito a guardarsi indietro per procedere in avanti. “Germana Marucelli, la sacerdotessa massima dell’assimilazione plastica e scultorea dell’arte fiorentina. […] le fusioni che sa fare delle indicazioni contenute in quell’arte con spunti quasi avveniristici la consacrano subito fra le più geniali […] ”[10], così viene ricordata dalla giornalista Amelia Bottero nel 1979 in Nostra Signora la Moda.

Abito da giorno linea Gentile del 1948 con motivo decorativo su disegno di Pietro Zuffi, qui indossato da Maria Cumani (danzatrice, poetessa e moglie del poeta Salvatore Quasimodo) una delle prime indossatrici di Marucelli. Fotografia Paolo Costa. Materiale d'archivio. Archivio Germana Marucelli. Cortesia Associazione Germana Marucelli, Milano

Forte dell'importanza del senso di appartenenza e della ricchezza della nostra civiltà, Marucelli fonda il suo lavoro creativo su due movimenti interiori in lei inderogabili da una parte il potente richiamo della Storia che la guida nel perpetuare la continuità con il passato; dall'altra la sua straordinaria sensibilità per le evoluzioni sociali, culturali e di costume in atto che le permette di essere sempre all'avanguardia e di intuire stili sempre nuovi. Ne abbiamo conferma dalle sue stesse parole quando in un’intervista rilasciata nel 1951, già con insospettata consapevolezza di quello che sarebbe diventato il suo stile, chiarisce: “C'è sempre una linea che si imita o si riconquista sotto aspetti nuovi. La novità è vita e quindi dinamica, non ricerca il vecchio perché lo incontra nel suo evolversi.”[11]

In uno dei suoi ultimi diari dei primi anni Ottanta, nel dare un ritratto di sé, torna all'infanzia: “Io, Germana [...], fui da un amico carissimo chiamata Germana da Vincigliata. E questa denominazione è per me tutt’ora fonte di piacere, piacere che non saprei definire. Più volte mi sono chiesta l'origine di questa esatta e nebulosa sensazione, ma ho dovuto riscontrare che essa sfugge all’analisi, almeno alla mia, e così preferisco tenermela misteriosa come un atto di fede. Forse è troppo il tutto di me che qui si serra e il tutto di me è solo mio, come per ogni creatura.”[12]

Il passato tradotto nella nuova sensibilità del presente, quella “esatta e nebulosa sensazione” fonte di piacere per Marucelli, è il presupposto fondante dell'attività dell'Associazione Germana Marucelli il cui Archivio, custode della sua memoria, non è inteso come deposito di ricordi cristallizzati, ma come luogo di “agitazione e di esperienze”[13] e con il potenziale di “un seminatore di segni e di simboli”[14] da cogliere a piene mani e da riversare nel modo di vivere di oggi e di domani.

Germana Marucelli si prepara al “Tour della moda italiana” in Sudamerica, 1956. Fotografia Farabola. Materiale d'archivio. Cortesia Associazione Germana Marucelli, Milano.

Nel 1972, all’apice della sua carriera, Germana Marucelli si ritira dalle scene. La sua ultima collezione ufficiale è nel gennaio del 1972 per la Primavera/Estate 1972 ad Alta Moda Roma con la linea Panta-abito. Il mondo si sta preparando al ciclone del Prêt-à-porter, consacrato nel sodalizio moda e industria, e lei, abdica al suo trono. Si ritira, ma non abbandona la sua passione per la moda. Apre la “Scuolina” per insegnare alle nipoti e alle figlie delle amiche più care il “punto molle”. Non si arresta, dunque, ma prosegue riprendendo il suo cammino esattamente dal principio, tornando là da dove era partita quando da ragazzina “fasciava i ganci a mano, a filo ritorto” quasi a recuperarne il senso. Avvia un progetto, poi rimasto in sospeso per essere forse un domani riaperto, di una Accademia di Moda che dai rizomi della storia e dall’esperienza di vita dei suoi precursori possa divenire linfa per i fashion designer di domani così da proseguire il cammino e il racconto iniziato. In alcune note, ora conservate nell'Archivio dell'Associazione Germana Marucelli, ne spiega il telos: “[…]  per qualificare intendo anche far comprendere all’allievo il concetto che il suo lavoro è un far sacro e riveste una grande responsabilità sociale e perciò metterlo nelle condizioni di reagire alle correnti disgregatrici che lo rendono attore e non agente . […] far sentire che saranno loro domani che racconteranno con le loro forme la storia del tempo […]. ”[15]

Moda, arte e cultura questo era dunque Germana Marucelli e l'orchestrare in un ampio racconto la vasta documentazione conservata nell'Archivio che la riguarda consente non solo di far conoscere meglio il personaggio e di aiutare a leggere trasversalmente parte della nostra storia, ma anche di aprire all'avvenire.
“La questione dell'archivio non è […] una questione del passato.” - ricorda il filosofo Jacques Derrida nel giugno del 1994 durante la conferenza Memory: The Question of Archivies poi riportata nel suo testo Mal d'archivio - “Non è la questione di un concetto di cui disporremmo o non disporremmo già a proposito del passato, un concetto archiviabile dell'archivio. È una questione di avvenire, la domanda dell'avvenire stesso, la domanda di una risposta, di una promessa e di una responsabilità per il domani.” [16]


Nata a Brescia nel settembre 1970, Silvia Casagrande è Dottore di ricerca in Storia dell’Arte Estremo Orientale con dissertazione su sulla moda contemporanea giapponese. Dal 2002 è Direttrice scientifica dell’Archivio Germana Marucelli, Milano e svolge consulenza per altri Archivi della Moda e del Costume. In tale ambito di ricerca, svolge attività di curatela indipendente e di progettazione culturale. Tra i recenti progetti si annoverano: la curatela della mostra e del catalogo “Germana Marucelli. Una Visionaria alle origini del Made in Italy”, Gallerie degli Uffizi, Firenze, 2023. È stata membro del Comitato scientifico della mostra “L’arte della Moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968”, 2023, un progetto di Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì presso il Museo Civico San Domenico, Forlì, e in tale contesto è stata tra gli autori nel catalogo edito per l’occasione. È stata ricercatrice e archivista della raccolta d’arte (tessuti e costumi) Orientale del Comune di Milano presso le Civiche Raccolte d’arte del comune di Milano e della Fondazione Tullio Castellani, Milano. Svolge attività di Docenza universitaria e post-laurea dal 2009 a oggi in Storia della Moda, Antropologia e Storia del Costume. È stata Docente sul tema “Archivi di Moda” presso l’Università di Bologna e FRI Fondazione Fashion Research Italy, Bologna. Si occupa di divulgazione culturale relativamente alle aree di ricerca e ha pubblicato volumi e saggi per le principali case editrici. 


[1] D. Baroncini, La moda nella letteratura contemporanea, Campus. Temi del Novecento (Collana di letteratura italiana diretta da MA Bazzocchi, N. Lorenzini), Bruno Mondadori, Milano 2010, p. 77.

[2] C. Pasquali, Proust, Primoli, la moda, Quaderni di cultura francese, (Fondazione Primoli a cura di), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1961, pp. 76-77.

[3] G. Leopardi, Operette Morali. Dialogo della Moda e della Morte, in Poesia e Prosa, (a cura di S. A. Nulli), Hoepli, Milano 1997, pp. 346-347.

[4] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, (a cura di Sossio Giametta), Bompiani, Milano 2010, p. 509.

[5]  M. Scotini, L'inarchiviabile: l'archivio contro la storia, Meltemi, Milano 2022,  p. 19

[6] C. Baldacci, Archivi Impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea, Johan & Levi Editore, Monza 2016, p. 21.

[7] A. Bottero, Nostra Signora la Moda, Mursia, Milano 1979, p. 8. Vedere anche: V. Vaerini, Un mondo illusorio e scintillante di cui si misconosce la difficile vita, in “Il Popolo di Roma”, 24 febbraio 1952, in  Rassegna Stampa, Archivio Germana Marucelli, Stampa italiana. La maggior parte degli articoli di giornali citati provengono dalla Raccolta “Rassegna Stampa nell’Archivio Germana Marucelli” e saranno d'ora in poi così indicati: AGM. con specifiche nel caso si tratti di Stampa italiana, Stampa estera, Stampa del Premio San Babila.

[8] G. Marucelli, Note biografiche, Archivio Germana Marucelli, 1982 in  S. Casagrande (a cura di), Il libro di Germana,  Archivio Germana Marucelli, in corso di pubblicazione. I diari, i carteggi di Germana Marucelli, le interviste raccolte a testimoni diretti e la corrispondenza citati provengono dalla Raccolta “Biografia, Archivio Germana Marucelli” attualmente in corso di pubblicazione, a cura di Silvia Casagrande.

[9] Fernanda Pivano, a proposito di Germana Marucelli, precisa: “Prima di essere una sarta, era un’intellettuale [...]”. Vedere: F. Pivano, Le favole del ferro da stiro. Ricordi di Germana Marucelli scritti da Fernanda Pivano, East 128, Milano 1964, p. 10. Da alcuni articoli dei primi anni Cinquanta si evince che Germana Marucelli è oramai nota ai più con l'appellativo di “sarta intellettuale” a tal punto che si sono perdute le tracce della citazione originaria. Vedere: V. Vivaldi, A Milano una sarta “indipendente” in guerra con la moda francese, in “Il Giornale del Lunedì”, 20 marzo 1950, AGM., Stampa italiana.

[10] Amelia Bottero, Nostra Signora la moda, Mursia, Milano, 1979,  pp. 7-8.

[11] G. Marucelli, in Piera, Da sei anni non va a Parigi. La linea che vi consiglia Germana Marucelli, “Milano sera”,  11 dicembre 1951 in  AGM., Stampa italiana.

[12] G. Marucelli, Note biografiche, AGM., 1982 in  S. Casagrande (a cura di), Il libro di Germana,  Archivio Germana Marucelli, in corso di pubblicazione.

[13] Vedere H. Focillon, Estetica dei visionari e altri scritti, (Biraghi a cura di),  Pendragon, Bologna 1998, pp. 61-69, in particolare p. 64.

[14] Vedere D. Formaggio, Arte,  Mondadori, Milano 1981, p. 228.

[15] G. Marucelli, Note biografiche, AGM., 1968 poi pubblicato in La preparazione professionale richiesta oggi da un settore in rapida evoluzione: quello della moda e abbigliamento femminile, Raccolta degli atti della tavola rotonda, a cura di Giulio Marangoni, 24 settembre 1968, Milano, Istituto artistico dell'abbigliamento Marangoni, non paginato. AGM., Materiale bibliografico.

[16] J. Derrida,  Mal d’archivio. Un’impressione freudiana, (trad. it. di G. Scibilia), Filema Edizioni, Napoli 1996, p. 47.