Conversazione sul cinema sostenibile
con Francesca Magliulo
Il rapporto tra Edison e il cinema ha una lunga storia che ha portato all’impegno dell’azienda, in tempi non sospetti, a concepire metodi e strategie per favorire la nascita di una cultura della sostenibilità all’interno delle produzioni cinematografiche e alla creazione, nel 2011, di Edison Green Movie - Le linee guida sul cinema sostenibile.
Già negli anni 50 Edison era azionista della Titanus e conserva, presso l’Archivio del cinema d’impresa d’Ivrea, una cineteca storica molto importante con filmati dagli anni 20 e 30 in poi. Un fondo portato avanti con il Progetto Cultura, per cui negli anni sono stati raccolti importanti film, documentari, interviste a premi Nobel. Ma l’aspetto più importante di questo rapporto con il cinema è sicuramente la storia di Edison ed Ermanno Olmi, che a 14 anni è andato a lavorare alla Edison nei servizi generali e, dopo aver partecipato alle attività teatrali del Dopolavoro, ha ricevuto una cinepresa, che lui non aveva mai maneggiato in vita sua, con la richiesta di riprendere la costruzione delle nuove centrali. Si tratta di un periodo importantissimo per la storia italiana, perché sono gli anni intorno al 1953-54, prima del boom economico che è seguito anche a questa elettrificazione ulteriore dell’industria italiana. Olmi per dieci anni ha lavorato alla Edison producendo circa 40 documentari, tutti incentrati, più che sulla magnificenza delle grandi centrali idroelettriche, proprio sul lavoro dell’uomo.
Questa storia è importantissima perché ci ha lasciato un’impronta significativa. Inoltre, il nostro impegno nella sostenibilità del business energetico, con una significativa produzione di CO2, ci ha portato a rinforzare sempre di più i processi di riduzione dei nostri impatti ambientali ma anche, data l’esperienza maturata, a promuovere la creazione di valore sociale sui territori e diffondere la cultura della sostenibilità in ogni ambito possibile, in una logica di valore condiviso con la comunità. A proposito di cultura, il cinema ci è sembrato il punto di partenza più naturale, un vero e proprio volano, per trasmettere un’attenzione all’uso consapevole di risorse, al rispetto dell’ambiente, alla valorizzazione delle persone e del territorio. Stiamo parlando del 2010, quando ancora non c’era una grandissima diffusione della cultura della sostenibilità in Italia, soprattutto nel mondo del cinema. Infatti, siamo stati i primi in Italia e tra i primi in Europa.
La nostra idea era di applicare le stesse regole di efficienza energetica, attenzione all’utilizzo delle risorse, efficientamento dei processi che avevamo applicato al nostro business in una produzione cinematografica. I nostri primi passi in questo senso erano già avvenuti nella musica, con i concerti sostenibili. Ma non era ancora un impegno strutturato. Poi, abbiamo coprodotto il “Villaggio di cartone” di Ermanno Olmi grazie al tax credit, che era una formula che permetteva alle aziende che non lavoravano negli audiovisivi di coprodurre un film. Così siamo entrati in contatto con il mondo delle produzioni cinematografiche e abbiamo avuto l’idea di applicare i criteri di sostenibilità al cinema. All’inizio la reazione di tutti è stata incredula, sia internamente sia da parte dei produttori. Sembrava assurdo intervenire su un processo produttivo dai tempi così compressi e imprevedibili e, soprattutto, da parte di un’azienda energetica.
Superate le prime difficoltà, abbiamo capito che era tutta una questione di organizzazione e ottimizzazione. Abbiamo, innanzitutto, realizzato uno studio analizzando tutte le fasi di una produzione cinematografica per capire come funzionava e dove c’erano sprechi, inefficienze, inquinamento. Abbiamo studiato alcuni set cinematografici dal vivo per capire che cosa si potesse fare, e così sono nate le prime linee guida sul cinema sostenibile, chiamate Edison Green Movie: una sorta di cassetta per gli attrezzi per aiutare a ridurre l’impatto ambientale delle produzioni, integrate da un vero e proprio accompagnamento durante tutta la fase di pianificazione e lavorazione.
Gli ambiti di applicazione sono vari e diversi, perché ogni film è un mondo a sé, dai consumi energetici, al trasporto di cose e persone, all’uso di materiali e scenografie, alla comunicazione interna, alla gestione dei rifiuti, al catering. In quest’ultimo caso, per esempio, si usava tantissima plastica, che abbiamo eliminato organizzando i furgoni attrezzati come quelli delle feste di paese. Per “Il ricco, il povero e il maggiordomo” di Aldo, Giovanni e Giacomo siamo riusciti a fare una convenzione con Car2Go per ottimizzare i trasporti. Per la conferenza stampa di “Torneranno i prati” di Olmi abbiamo portato tutti i giornalisti da Roma ad Asiago in treno, abbiamo collaborato con la Guardia Forestale per la ricostruzione delle trincee in legno e il loro riutilizzo a favore del turismo locale sulla Prima Guerra Mondiale. Le scenografie possono essere riutilizzate; per esempio, c’è un’associazione americana che ne ridistribuisce i mobili tra le famiglie in difficoltà. Spesso c’è anche un problema di raccolta dei rifiuti sul set, prodotti in abbondanza e che spesso il Comune non raccoglie in loco, per cui c’è stato uno sforzo di mediazione con l’amministrazione comunale, evidenziando il valore portato al territorio dalla produzione. In certi casi si tratta di superare certi blocchi culturali. Ad esempio, nel mondo del cinema vigevano regole ferree sulle categorie degli alberghi per la troupe e gli attori, per cui si usavano hotel in città, lontani dai luoghi delle riprese e raggiungibili solo in auto. Sono invece stati utilizzati alberghi e agriturismi vicini al set, in modo da creare indotto sul territorio e ridurre gli spostamenti, con un evidente risparmio nel noleggio dei mezzi di trasporto e nell’acquisto di carburante. A dimostrazione che la sostenibilità ambientale è sempre connessa a quella economica e sociale. Ora sembra tutto naturale, ma allora era impensabile.
Noi non abbiamo mai finanziato questi interventi, ci abbiamo messo piuttosto forza lavoro, idee, coordinamento e, alla fine della produzione e dell’applicazione del protocollo, certificati verdi per compensare le emissioni residue di CO2.
Dopo la prima applicazione a “Il capitale umano” di Paolo Virzì (Indiana Production), ci siamo resi conto che queste linee guida erano in continua evoluzione, perché ogni volta che venivano applicate in un film si aggiungevano nuove possibilità o variabili.
Ci interessava, soprattutto, superare il concetto della semplice compensazione di emissioni classica, per ripensare l’intero ciclo produttivo. Questo per noi è il passo avanti, perché la cultura della sostenibilità va ad analizzare i singoli processi alla ricerca di modi per ridurre l’impatto, che non è per noi solo ambientale, bensì anche economico e sociale.
Ma perché la cultura? Perché per noi la cultura contiene in sé i tratti identitari delle comunità locali e perché le organizzazioni culturali alimentano il dialogo tra l’impresa, la società civile e le istituzioni. Le organizzazioni culturali sono spesso delle vere e proprie comunità di riferimento che hanno un rapporto con la pubblica amministrazione, che a sua volta è nella loro governance. Quindi, dal punto di vista dell’azienda che vuole avere dei rapporti con la comunità e creare
del valore sociale in una comunità, questo per noi è un canale importantissimo. E poi c’è un altro fattore, che è la sintesi della politica di sostenibilità dell’azienda.
Da un lato, infatti, c’è la sostenibilità dei processi aziendali per contrastare il cambiamento climatico, tutelare il patrimonio naturale, valorizzare le persone, le comunità, offrire un servizio di qualità per i clienti. Ma questo, ovviamente, non può avvenire senza un confronto con gli stakeholder, vero e proprio fattore abilitante. Da qui si capisce perché ci muoviamo in questo modo, perché per noi condividere le competenze con l’organizzazione culturale significa diffondere una cultura dello sviluppo sostenibile a 360 gradi. Portare innovazione sociale, perché la cosa che ci interessa non è solamente ridurre le emissioni, ma indurre l’innovazione creativa e stimolare a trovare delle nuove soluzioni per servizi e processi.
E, inoltre, aiuta a contenere e ottimizzare i costi. Se inizialmente tante produzioni ci hanno assecondati in nome di una buona causa, alla fine della produzione hanno compreso che era anche un sistema per rendere più efficiente tutta la produzione del film. Tanti lavoratori del cinema, dal fonico all’attore, al runner, hanno imparato a portarsi la borraccia (dieci anni fa non era diffusa come oggi), utilizzare stoviglie compostabili, preferire soluzioni e comportamenti sostenibili che, poi, hanno trasferito spontaneamente su altri set.
A nostra volta, però, ci siamo resi conto che, applicare il protocollo a singoli film avrebbe avuto un impatto limitato. Creare competenze e una rete, supportandola nella formazione sulle linee guida, sarebbe stata una buona svolta. E allora abbiamo pensato che le migliori organizzazioni che potesse offrire servizi come la raccolta differenziata, la ricerca di fornitori sostenibili sul territorio e chiedere
allo stesso tempo il rispetto di certe regole, erano le film commission. Era il 2015.
Abbiamo quindi siglato un accordo con la Film Commission Italia, e poi collaborato e formato quelle regionali, in particolare, quella di Torino e Piemonte, che applica una linea di finanziamento a chi segue il protocollo Dal 2012, sono state moltissime le produzioni cinematografiche che hanno applicato Edison Green Movie, grazie anche alla collaborazione con le Film Commission.
Un ulteriore passo in avanti è stato fatto con la nascita della Fondazione EOSEdison orizzonte Sociale nel 2021, che ha ereditato questo filone di progetti. In questo contesto la Fondazione mira a fare un lavoro ulteriore, e cioè innanzitutto contribuire a creare competenze su questo tema, far sì che nella produzione ci sia il responsabile di un vero e proprio piano di sostenibilità Per questo vogliamo rimettere intorno a un tavolo i vari attori, dalle Film Commission ai produttori e tutta la filiera del cinema e dell’audiovisivo, per sviluppare un’ulteriore riflessione a cui seguano azioni concrete e sistematiche Infatti, il problema ora è che tutto è a macchia di leopardo e viene lasciato alla buona volontà del singolo. Invece, bisognerebbe far sì che si creasse un unico sistema di linee guida, condiviso con tutti.
Un altro passo avverrà con il nostro progetto alle Ex Manifatture Tabacchi, che diventerà il nostro centro di diffusione della sostenibilità delle organizzazioni culturali, in particolare del cinema. Vorremmo che diventasse veramente uno strumento di diffusione del valore della cultura della sostenibilità e un mezzo per valorizzare i territori, le persone, le loro competenze e, soprattutto, una forma di espressione delle nuove generazioni. Perché la visione della sostenibilità, in generale e anche nel mondo del cinema, è ancora molto legata all’ambiente. Invece la visione matura della sostenibilità, quella ben espressa dai 17 Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 Onu, vede le tre dimensioni ambientale, sociale ed economica strettamente connesse tra di loro. In particolare, la dimensione sociale non può essere relegata a semplice supporto alle persone vulnerabili ma è anche innovazione di processi e servizi, creazione di competenze, valorizzazione di persone e territori e educazione. Solo nel 2012, al Summit sullo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro, si sono riunite per la prima volta le istituzioni, le imprese e la società civile con l’auspicio di una collaborazione che non si basi sulle buone pratiche singole ma diventi un sistema strutturato e coerente. Da lì, infatti, nel 2015 sono nati gli SDGs, dimostrazione del fatto che le tre realtà hanno lavorato insieme. Ma ancora oggi, soprattutto in Italia, c’è ancora tanto lavoro da fare per superare la logica della buona volontà individuale e lavorare in rete, lungo tutta la filiera, coinvolgendo il mondo della cultura, delle associazioni, delle imprese, delle istituzioni e, soprattutto, i giovani che sono al centro di qualsiasi agenda dedicata allo sviluppo sostenibile e ne devono essere i veri protagonisti.
Francesca Magliulo, la sua passione per lo sviluppo sostenibile coincide con il percorso di Edison nel campo della responsabilità sociale, che si manifesta nel 2009 con la costituzione della funzione Sostenibilità che guida fino al 2021, anno in cui nasce la Fondazione Eos-Edison Orizzonte Sociale, di cui è direttrice. Ha partecipato alla costituzione della Fondazione Global Compact Italia, di cui è tuttora consigliera, seguendo in particolare le iniziative legate a diritti umani e inclusione e fa parte dei consigli di amministrazione del Centro per la Cultura d’impresa e dell’Università della Tuscia di Viterbo. Dedica buona parte del suo tempo libero al rugby, sviluppando progetti educativi, sociali e di trasformazione culturale.