Collisioni: la musica di un territorio
di Filippo Taricco
La connessione tra Collisioni e il territorio è una cosa nata in modo naturale. Abbiamo cominciato quando avevamo meno di 30 anni e non ci trovavamo a Torino o in una grande città, ma in un territorio di campagna. Era molto difficile pensare che qualche fondazione ci desse ascolto e ci finanziasse. Non avevamo gli sponsor; era difficile trovarne lavorando a Barolo e non in un grande centro dove il dirigente di qualche multinazionale scende di casa e va a sentirsi un concerto. Era un posto un po' assurdo, sotto questo profilo. Non avevi altri elementi per poter creare un festival se non quello di allearti con la tua gente. E noi a Barolo cosa facevamo? Facevamo vino, facevamo prodotti enogastronomici e su quello abbiamo fatto crescere Collisioni. Non avevamo altre vie per costruire, non avevamo nessun altro budget su cui basarci.
Sappiamo che anche le fondazioni sostengono cose periferiche, a volte, però sono molto più impegnate sugli ambienti urbani. Quindi, all'inizio, Collisioni è nato proprio grazie alla collaborazione di piccoli produttori che hanno dato un aiuto, anche piccolo. Ma erano tanti e quindi siamo riusciti a fare le cose che avevamo in mente, i concerti e gli eventi, proprio perché siamo partiti un po' da loro e da questo tessuto e grazie a questo fortissimo binomio per cui il festival ha spinto il territorio, un territorio disegnato dalla realtà vinicola e dalle nostre colline che sono fortemente coltivate, non sono un paesaggio selvaggio. È una natura che è così perché c'è dietro un lavoro dell’uomo, che è anche la motivazione che ha dato l’UNESCO eleggendo le Langhe a patrimonio dell’umanità.
Il dialogo è stato naturale, quindi. E strano. Il marketing territoriale, qui, è stato sempre legato all'agricoltura. La cosa strana è stato comunicare una cosa nuova, più unica che rara, mai successa in Italia. Una cosa che è arrivata a essere riconosciuta dai produttori di vino come un evento musicale agricolo in cui noi avevamo un'identità, perché accanto ai concerti abbiamo sempre proposto momenti dedicati al mondo del vino. È nato un grande connubio tra due anime completamente diverse. E non più solo con il mondo agricolo delle Langhe: i nostri sponsor erano diventati anche quelli della Sicilia, erano quelli della Basilicata, erano quelli del Veneto, erano quelli del Friuli. Tutte le cantine e consorzi di tutta l'Italia riconoscevano questo.
Non è stato però un percorso facile perché all'inizio i produttori erano molto sospettosi. Il mondo del vino è un mondo confuso che gioca molto sull'anacronismo. Se voi vedete per esempio i luoghi delle cantine e le loro etichette spesso illustrate con stemmi nobiliari, con corone e di color oro. Hanno una connotazione passatistica che non collima con un evento popolare come Collisioni.
All’inizio non è stato facile farlo, incontrarci. Quando abbiamo fatto un concerto di Bob Dylan in piazza a Barolo, i barolisti si sono rifiutati di dare vino perché ritenevano l'evento troppo popolare. E così è arrivata gente da tutta Italia, per assistere all'unica data nazionale di Dylan, che chiedeva costantemente quando avrebbero potuto bere un bicchiere di vino ma i produttori si erano imposti e i vigili del fuoco avevano reso obbligatorio l’uso dei bicchieri di plastica con il risultato che tutta la gente girava nella piazza cercando un bicchiere di vino che non c'era.
Poco per volta siamo riusciti a stabilire un dialogo. Vivendo insieme le cose a un certo punto ci si rilassa. Ci sono tanti pregiudizi nel mondo del vino come ci sono pregiudizi nel mondo della musica. Tutti i mondi sono fatti di pregiudizi, però poco per volta è diventato chiaro che il pubblico di certi concerti di qualità e il pubblico del vino, alla fine, sono gli stessi, ci si è resi conto che non appartenevano a due mondi distinti.
Per loro il rock, all'inizio, era sinonimo di anarchia e punk e immaginavano gente che veniva a strappare i grappoli d'uva. Poi, a un certo punto, il rock è diventato la musica dei vecchi, e, automaticamente, la musica del vino.
Siamo invecchiati tutti e ci siamo ritrovati un po' di problemi ma credo che la scommessa che abbiamo vinto è che Collisioni è ancora meta per i giovani. All'inizio, nei primi anni 2000, c'era una visione che il vino doveva essere bevuto da signori di mezz'età, non una cosa per ragazzi. Invece adesso è molto diverso. I giovani sono molto incuriositi dal biologico, apprezzano i prodotti di qualità. Purtroppo, attualmente la crisi economica fa in modo che non possano permetterselo, ma negli anni d'oro subito prima della pandemia quei giovani erano molto più interessati al vino di quanto si sia detto.
Collisioni continua a parlare ai ventenni. Non siamo invecchiati con il nostro pubblico ma abbiamo scelto di continuare a parlare ai figli. Le madri ci insultano e i figli ci adorano come eravamo quando abbiamo iniziato e va bene così. E anche parlando di turismo enogastronomico dobbiamo sempre sforzarci di lavorare sui giovani.
Credo che la musica serva sempre. La musica, gli spettacoli, la cultura, i festival servono a lasciare nel cuore della gente certi posti. Quelli che in qualche modo ti sono rimasti impressi perché hai sentito la canzone del tuo idolo, perché hai baciato per la prima volta la tua fidanzata in quel concerto. Cioè quelle cose memorabili che fanno sì che in quel posto, in quel paesino fantastico dove c'erano quelle viuzze strette e dove c'era quel vino che era buonissimo, ecco in quel posto ci tornerai sicuramente.
Io credo che l'economia del festival non debba essere letta solo ed esclusivamente nel momento in cui la gente viene e puoi dire che ci sono state ottomila presenze e allora è stato un successo. Perché non è quello la vera vittoria ma il fatto che tutte quelle persone torneranno e torneranno alla spicciolata consumando molto di più. Durante il festival, chiuso in una piazza, un po' stipato, spesso non hai modo di goderti anche un pranzo di langa tipico. Ma la stessa persona, proprio perché lascia un pezzo di cuore in quel posto, poi ci torna in altra veste ed è cosi che crea la reale economia. E questo i produttori l'hanno capito. Se siamo riusciti a fare il festival è anche perché i produttori ci hanno creduto intervenendo liberamente e sostenendolo con i fondi di promozione del vino.
Non avevamo le fondazioni a sostenerci, all’inizio. Le fondazioni poi sono arrivate e sono state importanti, però non possiamo pensare che, ad esempio, Compagnia di San Paolo possa investire a Barolo quanto investe su Torino. E così, per una logica di territorio noi dovevamo giocare sulle nostre armi, che erano i fondi di promozione del vino.
Poi, a un certo punto c’è stata una frattura dovuta a due motivazioni. La prima è stata Covid, che ha fatto inceppare la macchina. Tante aziende, comprese le cantine, sono andate in difficoltà e quindi chi viveva di sponsorizzazioni da privati ha diminuito la sua capacità di raccolta.
Altrettanto importante è stato un atteggiamento del settore pubblico e quello di chi decideva l’assegnazione dei fondi a cui i produttori potevano accedere che hanno ritenuto, ragionando a comparti stagni, che la promozione data a un territorio agricolo da un festival di questa dimensione e la promozione dell'agricoltura fossero due cose diverse. Cosa che invece non è, lo abbiamo detto. Quando Eddie Vedder insieme ai Pearl Jam dice, al concerto di inaugurazione di Los Angeles, che andrà in un posto chiamato Barolo e sul palco, davanti a 300.000 persone, stappa una bottiglia di Barolo… ecco, voglio vedere se gli articoli su riviste specializzate possono ottenere lo stesso impatto promozionale.
Però purtroppo noi viviamo in un mondo miope. Ho fatto dei litigi fuoribondi con questa gente e non solo io. Anche le cantine stesse sono intervenute perché ritenevano veramente strategico quest'evento.
Collisioni porta a un aumento di dieci volte della digitazione del termine Barolo su Google. Stiamo parlando di un aumento di visibilità di un paese che chiamandosi come il proprio vino, non faceva gli interessi solo di questo paese, ma faceva gli interessi di tutto un territorio che produce Barolo. Non c'è stata la comprensione di quanto questo evento era un motore economico che ormai aveva travalicato i semplici confini della cultura.
A questo punto Collisioni, per non morire, se no sarebbe ovviamente morta a causa dell'impoverimento di fondi, ha dovuto fare una scelta. È dovuta andare ad Alba, la città più vicina, dove comunque ancora continuano ad avere gli stand dei produttori di vino, continua la promozione del territorio, continuiamo a collaborare con il consorzio dei produttori di vino del territorio, con gli allevatori di Fassona Piemontese. Tutto questo c'è ancora ma abbiamo dovuto abbandonare il borgo, che era la cosa a cui tenevamo di più, perché abbiamo dovuto recuperare le risorse, perse in parte per la crisi e in parte per la miopia che faceva dire che questo non era un progetto di promozione agricola e ha fatto sì che noi abbiamo dovuto recuperare quelle risorse mancanti dalla biglietteria.
Un altro evento dannoso per noi, poi, è stata la legge Gabrielli intervenuta dopo i fatti di Torino della Juventus per cui ci siamo trovati con una capienza che improvvisamente sarebbe passata a quattromila persone dai dodicimila che erano. E tutto questo, lo dico ogni volta perché è a suo modo divertente, nonostante il fatto che dopo dodici anni che facevamo un festival nella capitale della bottiglia di vetro dove mai nessuno si è fatto male col vetro, perché noi prendevamo ogni misura di sicurezza adeguata, non è mai uscita una bottiglia nella piazza dei concerti. Sono riusciti a fare una legge che ha penalizzato il più grande festival del nord Italia, forse il più grande esperimento culturale del nord Italia, perché in una partita della Juventus a Torino, quindi non un concerto o un evento di spettacolo ma una partita trasmessa su un maxi schermo, non hanno preso misure adeguate, non hanno assunto abbastanza security per gestire l'evento in Piazza San Carlo
Collisioni non era un evento di biglietteria, Collisioni era un evento di immagine. L’anno scorso il concerto di Calcutta a Collisioni, ha fatto ventimila persone e quello che non è arrivato all'associazione, parlando di introiti economici, da una parte dai fondi agricoli per il fatto che non venivamo più considerati un evento di promozione dei vini e del territorio e, dall'altra parte, con una capienza più che dimezzata rispetto a quello che avevamo e una crisi economica generata dal covid, ha fatto si che abbiamo dovuto recuperare dalla biglietteria tutto quello che recuperavamo da queste altre fonti.
In tutte le edizioni di Collisioni a Barolo abbiamo sempre portato metà della gente che avremmo potuto, ma era una scelta. Non eravamo impazziti.
Tutti gli anni abbiamo perso 600.000 euro in biglietteria perché ritenevamo che il nostro fosse un grande evento promozionale agricolo e territoriale e quindi che dovesse essere fatto a Barolo per delle ragioni che erano diverse dalle semplici ragioni di biglietteria e imprenditoria.
L’aspetto politico ha penalizzato quello economico e ha influito sulle scelte artistiche. La colpa non è della regione Piemonte ma della circolare Piantedosi, di quella Morcone-Gabrielli, dei funzionari dell'agricoltura a Roma che ritenevano che questo non fosse un evento di promozione perché per loro un conto era la cultura e un conto era l'agricoltura, perché in Italia si lavora a compartimenti stagni.
Collisioni, è nato come un festival letterario cinematografico musicale, dove non c'era un concetto di genere culturale. Noi però siamo cresciuti, quando eravamo ragazzini, odiando il premio Grinzane. Venivano deportati sul treno, costretti, con la minaccia: vuoi fare una versione in greco o vuoi vedere il premio Grinzane? E così per non essere interrogati si andava al premio. Quindi nasciamo in un mondo a settori dove la letteratura è un mondo, la musica un altro mondo, il cinema un altro ancora.
Alla fine ha prevalso questa visione a compartimenti stagni, che non è quella idea di cultura rinascimentale che è alla base di Collisioni dove uno può, come faceva Leonardo, scrivere, dipingere, poetare senza chiudersi in un settore.
Un festival però deve sopravvivere. Sono fasi e si acquisiscono nuovi sensi. Questi ultimi anni, quelli di Alba sono comunque bellissimi perché hanno significato un avvicinamento alla cultura giovanile. Abbiamo fatto un enorme lavoro di politica giovanile. Un altro problema della nostra zona è che siamo lontani da centri universitari e, in questo senso, è stato bello, per esempio, lavorare con le scuole, con i comitati giovanili, per mettere in atto un processo di ringiovanimento di Collisioni. È stato bellissimo entrare nelle dinamiche culturali nuove perché, ad esempio, i giovani adesso sono molto silenziosi e non fanno casino come quelli del ’68. Bisogna cercare e capire cosa pensano. Mi sono trovato di fronte a un mondo che mi piace molto. Devo dire la verità: a me la trap e il rap piacciono e trovo che sia bellissimo sentire Silent Bob che fa dei testi misogini che vincono con l'ipocrisia degli anni ‘80 di Eros Ramazzotti, in cui siamo cresciuti, dove si diceva che la donna era la più bella cosa che c'era e poi le si menava quando eravamo chiusi in casa. Gli artisti di oggi sono più espliciti, sono crudi, però nella realtà, secondo me, sono più rispettosi. Io da quasi cinquantenne imparo moltissimo da questi ragazzi e sono contento di fare un mestiere che mi permette ancora di conoscere dei mondi da cui altrimenti sarei tagliato fuori.
Questi anni per me sono stati ricchissimi perché abbiamo creato questo progetto giovani dove abbiamo lavorato con le scuole, dove la programmazione è diventata programmazione collegiale anche con i ragazzi. Ho vissuto non in modo nostalgico la morte del rock che è avvenuta con il Covid che ha creato una frattura generazionale, e io pur essendo uno che continua ad ascoltare le sue cose, sono affascinato da questi ragazzi così diversi da noi.
Penso anche che gli abbiamo parlato molto poco. Ieri ero con cento ragazzi e gli ho chiesto: chi sa chi è Jim Morrison? Tre lo sapevano e gli altri novantasette no. Devo dire che forse c'è anche un problema di dialogo tra le generazioni. Abbiamo parlato poco, ci siamo occupati poco di loro. Forse anziché sempre avercela con la generazione Z dobbiamo anche interrogarci sulla nostra generazione, perché mio padre delle cose che amava me ne parlava, poi magari non le ascoltavo, però sapevo cos'erano. Quindi forse siamo stati disattenti per cui è interessante questa fase.
Spero tantissimo che si possa ritornare prima o poi a un vecchio modello di Collisioni a Barolo, che si recuperi anche il vecchio modello senza perdere il percorso di questi anni che è un'aggiunta. È un peccato aver perso quel modello conosciuto in tutto il mondo. Spero di poter tornare presto a fare il festival a Barolo, me lo auguro. È una battaglia culturale con quest'idea malsana di cultura. Un po’ come quando c'è il turco che usa olio di copertone per friggere le patatine e muoiono dieci persone, e poi vanno a far la multa al ristorante stellato perché aveva il coperchio dell'olio aperto perché ci stava lavorando. Succede così, no?
Sotto il profilo dell’impatto ambientale, poi, ricordo che durante la prima edizione del festival abbiamo fatto un'intervista bellissima, a una signora che diceva che tutta questa gente arrivata per gli spettacoli avrebbe attaccato malattie alle piante. Certamente se fossimo riusciti a dimostrare un contagio vite-essere umano avremmo vinto il premio Nobel. Saremmo stati precursori del Covid, arrivato da cose più vicine biologicamente all'uomo.
A parte questo, però, l'impatto con Barolo è sempre stato il frutto di una collaborazione. C'era, naturalmente, chi diceva troppo grosso. C'era, per esempio, Gaja che è uno dei più importanti produttori del territorio che diceva che non era giusto, che Barolo non era adatta per fare queste cose qui.
Un po', forse, aveva anche ragione nel senso che effettivamente è stato uno stravolgimento proprio per il fatto che per questi paesi che sono così a misura d'uomo, ospitare tutto quel casino, effettivamente è abbastanza uno shock, non lo nego.
Però devo dire che a Barolo, un paese bomboniera, un paese super curato, non è mai successo nulla anche se veniva tanta gente per il festival. La gente che viene in un'esperienza come quella di Collisioni è gente educata a quel tipo di esperienza. A Collisioni non viene quello che vuole sbronzarsi, fare casino e fare atti di vandalismo. In tanti anni non abbiamo mai trovato una scritta su un muro. C'è sempre stato molto rispetto anche da parte del pubblico.
Io credo che non è solo quanta sicurezza metti che fa sì che la gente butti l'immondizia nel bidone o che non scriva su una casa o che non pisci in giro. Non è solo quello. È anche che tipo di pubblico stai costruendo, che messaggio stai lanciando e credo che Collisioni sia un evento da quel lato lì molto protetto perché la filosofia che sta dietro selezionava già molto il suo pubblico. Questo è venuto naturalmente, anche perché a Barolo a Collisioni ci dovevi arrivare. Facciamo delle cose fighissime, però non è che sia una cosa proprio semplice. Eppure tanta gente partiva dalla Francia, arrivava dall'Inghilterra e magari avrebbe potuto vedere lo stesso concetto a Londra, sbronzandosi e facendosi un'esperienza punk.
Perché sceglieva di venire a Collisioni? Perché gli piace quella dimensione lì. E in questo c'è anche l'equilibrio con l'ambiente perché sei a Barolo, sei in un posto che vive e mantiene la sua ricchezza che deriva dalla vite e quindi se ci vieni è perché quella filosofia lì ti risuona.
Filippo Taricco è direttore artistico del Festival Collisioni