Conversazione con Enrico Minio

Si prospetta un futuro ricco di eventi per la Fondazione Roberto Capucci, dedicata al lavoro dello stilista italiano Roberto Capucci. Entro la primavera 2025 sarà pronta, infatti, la nuova sede del museo, che si troverà nella Barchessa di Ponente di Villa Manin a Passariano, in provincia di Udine. “Ci saranno anche altre novità, ma ancora non ne possiamo parlare” anticipa il direttore della Fondazione, Enrico Minio. “Inaugureremo la nuova sede con una mostra sulla storia di Capucci, poi proseguiremo con il rapporto di Capucci con l’Arte Povera, un movimento artistico con cui ci sono molti punti di connessione, ma che, come tema, non è ancora stato mai approfondito. Nella moda di Capucci esistono tanti riferimenti ad artisti come Fontana e Burri, sia nell’estetica, che nei tessuti”.

L’arte ha sempre influenzato la moda, ed in particolare nel caso di Capucci, che è un artista lui stesso. Nato a Roma nel 1930, ha frequentato il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti. Lo studio dell’arte classica ha inculcato in lui l’importanza del disegno, per cui Capucci non ha mai buttato via niente: schizzi e disegni che normalmente vengono gettati perché considerati solo un tramite tra l’idea e l’abito, nel suo caso sono rimasti conservati negli armadi, e questo rappresenta una ricchezza per la Fondazione, che oggi include 35.000 disegni divisi tra schizzi per produrre gli abiti e illustrazioni artistiche. “È sempre stato molto bravo a conservare e molto ordinato” ha spiegato Enrico Minio, “ha diviso i disegni per collezioni, conservato le rassegne stampa. Soprattutto dagli anni 60 ha iniziato a conservare in modo sistematico, e ancora di più negli anni successivi.”

La maison Roberto Capucci è nata nel 1950 con il primo atelier in via Sistina. Nel 1952 si è tenuta la prima sfilata alla Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, città alla quale Roberto Capucci è rimasto profondamente legato. Nello stesso anno ha sfilato anche a Roma. In questi anni è nata la linea “a scatola” che ha reso Capucci famoso a livello internazionale. In particolare, a Parigi, dove Capucci ha aperto il suo primo atelier in Rue Cambon numero 4 nel 1962. Accanto a lui ha poi aperto Coco Chanel, e anche Christian Dior ha acclamato le sue creazioni. In questi anni ha sfilato a Parigi, ha creato il cappotto “a doppio triangolo” e i pantaloni “Butterfly” e anche la linea “Optical”.

Gli anni 70 sono gli anni della ricerca e sperimentazione. In quel periodo, Capucci ha instaurato un forte legame con l’India, che è diventata fonte di ispirazione nelle forme e nei colori. Per la prima volta la sua moda è entrata in un museo: nel 1971 è stata presentata al Museo di Arte Etrusca di Valle Giulia a Roma una collezione innovativa ispirata a pittori Pre-Raffaelliti. In questi anni sono nati anche gli abiti scultura, in particolare, nel 1978, l’abito “Colonna”.

La svolta globale è avvenuta negli anni 80, con le sfilate a Tokyo nel 1983 e New York nel 1985. Ma questi sono anche gli anni della prima sfilata a Milano, in cui Capucci ha dato libero sfogo alla sua creatività ed è nato l’abito “Ventaglio”

La definitiva consacrazione è avvenuta negli anni 90, in cui si sono succedute importanti mostre, come quella a Palazzo Strozzi, nel 1990. Nel 1995, inoltre, è stato ospite alla Biennale di Venezia, Altre mostre importanti di questi anni sono state a Monaco e Vienna.

“Come è successo in molti altri casi, le mostre retrospettive sono state uno stimolo alla nascita dell’Archivio storico Capucci” ha commentato Enrico Minio. “In occasione della prima importante esposizione del 1990 a Palazzo Strozzi, con centinaia di abiti in mostra, sono stati rifatti sotto la sua direzione molti pezzi dei primi decenni di produzione che non erano stati conservati, come il mitico “Nove gonne” del 1956.

Ed è stato proprio in questo momento che è nata l’idea di fondare l’Archivio storico Capucci. È stato un atto di presa di coscienza del valore del lavoro di Capucci, in cui si è sentita l’esigenza di ritrovare il materiale e gli abiti prodotti negli anni passati per metterli insieme, dando loro il giusto rilievo e valorizzandone la storia”.

Nel 2005 è stato fatto un ulteriore passo in avanti in questa direzione, con la creazione della Fondazione Roberto Capucci. Allo stesso tempo l’archivio è stato riconosciuto come archivio di rilievo storico dallo Stato italiano, quindi, vincolato, per metterlo in sicurezza.

Nel 2007 ha aperto a Villa Bardini a Firenze il Museo della Fondazione Roberto Capucci, all'interno del quale sono state organizzate mostre e un'intensa attività didattica.

Dal 2017 la sede della Fondazione Capucci si è trasferita a Villa Manin, dove è stato raccolto tutto ciò che prima era diviso tra Roma e Firenze. Già nel 2004, c’era stata una grande mostra a Gorizia con 120 abiti e 50 illustrazioni e bozzetti e da quel momento si consolidato il rapporto con la Regione Friuli-Venezia Giulia, per cui, quando la scuola del restauro della carta si è spostata a Gorizia, a Villa Manin è stato invitato l’archivio e sancito l’accordo con l’Erpac, Ente Regionale per la Patrimonio Culturale della regione.

Lo stesso Roberto Capucci è presidente della Fondazione e segue i lavori a distanza. “Da parte sua c’è molta partecipazione, tutto viene deciso insieme” spiega Enrico Minio. “Dopo tanti anni di lavoro insieme, c’è una profonda comunione di intenti tra di noi”. Tra i fondatori, c’è l’Associazione Civita, mentre Minio è il direttore. Nel consiglio direttivo c’è Sylvia Ferino e altri personaggi della cultura e dell’arte che cambiano regolarmente.

Da quando si è trasferita a Villa Manin, la Fondazione ha portato avanti un importante lavoro di digitalizzazione, che ha richiesto impegno e risorse. “Siamo arrivati agli anni Settanta, ma è un compito molto difficile” ha spiegato Minio. “Oltre ad essere una grande mole di lavoro, ci troviamo spesso di fronte a formati di carta molto particolari, che non possono essere scannerizzati, ma vanno fotografati. Il processo è lungo perché siamo solo in due, io e mio figlio che lavora con me nella Fondazione, e include numerose fasi, dalla codificazione dell’abito all’anno di creazione, dal modello alla provenienza, se si tratta di una donazione o se esiste ancora il disegno corrispondente, la storia, le esposizioni e le pubblicazioni.

È un lavoro che richiede risorse econiche, che sarebbero necessarie anche per il restauro degli abiti. “Vorremmo avviare un’opera di restauro, che però è molto dispendioso” spiega Minio, “sono richiesti restauratori, non basta una sartoria. Per quei pochi abiti che abbiamo già restaurato abbiamo ottenuto grandi risultati. Gli abiti attualmente sono chiusi alla luce, ognuno in atmosfera non acida. Fortunatamente non abbiamo il problema delle tarme perché non si tratta di lana, bensì di seta, ma ci sono altri insetti pericolosi, quindi, è importante fare trattamenti”.

La Fondazione in parte ha il sostegno della Regione, in parte della Capucci commerciale. “Vorremmo fare un salto di qualità” afferma Minio, “e abbiamo avviato già molte conversazioni. C’è grande interesse per l’archivio, in particolare c’è grande collaborazione con il mondo accademico. Per noi è molto importante il rapporto con gli studenti, che realizzano moltissime tesi, non solo di moda. Capucci attrae interesse non solo per quello che ha fatto nella moda, ma anche per quello che è il suo rapporto con la creatività. I giovani devono sapere ascoltare la loro creatività, senza temere di non vendere, bisogna inseguire la propria visione, questo è quello che piace ai giovani di Capucci”.

Anche le mostre continuano ad essere numerose. Negli anni se ne sono succedute più di 100 sia monografiche che collettive. “Non c’è un artista in particolare, né un movimento più vicino a Capucci. I suoi abiti si prestano ad accoppiarsi con tantissime opere e manufatti artistici, addirittura, con le armature da parata in collaborazione con l’armeria imperiale asburgica; con l’arte contemporanea, per esempio, in occasione di una mostra a Villa Panza di Biumo in dialogo con la collezione di monocromi. Ce ne sono state varie in Triennale. Alla Galleria Colonna è stato messo in dialogo con l’arte classica. Al Museo Santa Chiara di Brescia con la Vittoria alata. A Napoli, all’Archivio del Banco di Napoli, che conserva i documenti contabili dal 500 a oggi, l’effetto è stato spettacolare, con i vestiti colorati di Capucci inseriti tra i volumi rilegati color pergamena. Anche il Barocco è stato molto importante nell’ispirazione di Capucci”.

Anche a livello internazionale ci sono state numerose mostre a Vienna, Stoccolma, Philadelphia, Shanghai, Tokyo, dove è stato messo in dialogo con il movimento del Mono-ha. Particolarmente importante è il rapporto con la Cina. Già nel 1995 Il Ministro del Commercio Estero cinese Signora Wu Yi ha invitato Roberto Capucci a presentare una sfilata di 64 abiti-scultura tra i più rappresentativi ai membri del Governo cinese. Nello stesso anno, Capucci è stato invitato a tenere delle lezioni sulla creatività all’Universà di Pechino. Nel 2010 in occasione della riapertura a Shaanxi-Xi’an del Daming Palace, Capucci è stato inviato a sfilare con dieci nuove creazioni ispirate al costume e alla tradizione.

Attualmente è in corso una mostra a Gorizia sugli anni 60 in cui sono inclusi sette abiti che mostrano la contaminazione con l’arte optical e pop, mentre altri cinque pezzi sono a Lucca in una mostra sul Canova. Un’altra mostra recente è stata al labirinto della Masone in collaborazione con Franco Maria Ricci. Una panoramica che mostra la versatilità di Capucci e la sua rilevanza nella moda e nell’arte.

Enrico Minio è direttore della Fondazione Roberto Capucci