Aria di cultura
di Filippo del Corno
Pubblicato in AES ARTS+ECONOMICS N°8, Giugno 2020
Vorrei iniziare questa riflessione con un dato apparentemente anedottico: quando nella notte tra il 14 e il 15 giugno ho potuto ascoltare il suono degli strumenti dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali al Teatro Dal Verme, immediatamente riaperto dopo la necessaria chiusura dovuta alla emergenza sanitaria, ho realizzato che, almeno dalla mia adolescenza in poi, non avevo mai passato così tanto tempo, più di 100 giorni, senza ascoltare musica dal vivo.
L’impossibilità di ascoltare musica in realtà è stata, durante il cosiddetto lockdown, surrogata da altre esperienze quali i dischi, lo streaming, i video, perfino la pratica strumentale domestica al pianoforte. Dal momento in cui le misure di contenimento hanno reso necessaria la chiusura dei luoghi della cultura, moltissime infatti sono state le modalità alternative di diffusione di musica, teatro, danza, attivate sulle piattaforme digitali dalle istituzioni teatrali e musicali; anche gli istituti museali ed espositivi, e le biblioteche, hanno prodotto iniziative multimediali di straordinario interesse e utilità.
Tuttavia, nessuna di queste modalità ha potuto in alcun modo sostituire l’ascolto di un concerto, la partecipazione ad uno spettacolo o la visita ad un museo, e non soltanto per motivi legati alla pura e semplice differenza fisica dell’esperienza, ma per un aspetto forse poco considerato e comunque sottovalutato.
La condivisione: ciò che è mancato a tutti noi, durante il periodo della forzata chiusura di teatri, auditorium, cinema, così come di musei e biblioteche, è stata appunto l’esperienza della condivisione, ossia il fatto di ascoltare, guardare, pensare, provare emozioni insieme ad altre persone, nello stesso luogo e nel medesimo tempo. Non c’è tecnologia che possa restituire questo elemento che è, storicamente e socialmente, alla base stessa di qualsiasi forma o linguaggio di espressione artistica.
Nella mia funzione pubblica di Assessore ho sostenuto, in questi anni di lavoro, che la definizione più adatta di cultura sia appunto la “condivisione di patrimonio cognitivo da parte di una comunità”, e che l’obbiettivo principale delle politiche culturali consista appunto nel rendere sempre più ampia, diffusa e accessibile questa condivisione. Le conseguenze generate dalle misure di contenimento causate dall’emergenza sanitaria hanno evidenziato come questa condivisione sia innanzitutto un fatto fisico, concreto, materiale, la cui indispensabile necessarietà è ancora più forte quando eventi esterni ne svelano invece le condizioni di fragilità. Per questo motivo il mio primo impegno per la città di Milano è stato interamente rivolto a sviluppare un programma pubblico, ‘Aria di Cultura’, per condurre, sia pure con tutte le necessarie cautele d’ordine medico-sanitario, la comunità cittadina a partecipare nuovamente alla condivisione di spettacoli, concerti, iniziative culturali, letture pubbliche, mostre, installazioni. Credo infatti che oggi sia davvero urgente attribuire alla cultura e all’arte la funzione di generare “riavvicinamento sociale” in una fase in cui è invece ancora necessario mantenere il “distanziamento fisico” richiesto dalle prescrizioni per il contenimento dell’epidemia.
L’idea di intitolare questo programma ‘Aria di Cultura’ è nato dalla necessità che la città avverte di poter finalmente tornare a vivere all’aria aperta e dal desiderio di riprendere a “respirare” cultura, come se appunto questo desiderio corrispondesse a un bisogno fisico, di cui siamo stati privati per un tempo incredibilmente lungo, quei 100 giorni a cui ho fatto riferimento all’inizio di questa riflessione.
Filippo del Corno è Assessore alla cultura del Comune di Milano, compositore.