di Dani Bordignon e Aria Princigalli

Milano è la città della moda, delle sfilate, la città che non si ferma mai, ma al di sotto di tutto questo ci sono luoghi fermi nel tempo: Gli archivi della moda.

L’archivio secondo la definizione dovrebbe essere “la raccolta ordinata e sistematica di atti e documenti la cui conservazione sia ritenuta di interesse pubblico o privato”. Nella realtà milanese, in cui gli spazi sono pochi e stretti, l’ordine e la sistematicità vengono meno o meglio esistono ma solo nella testa del curatore.

In questi labirintici luoghi, dove la moda riposa, solo l’archivista sa come muoversi e cosa vi sia dentro, questo perché l’archivio è figlio dell’occhio e del gusto di chi lo cura e lo nutre da anni, se non decenni, facendo sì che nessun archivio sia uguale a un altro.

Nonostante la tendenza centenaria di vantarsi del “made in Italy” come fiore all’occhiello di un’industria multimiliardaria, l’interesse effettivo delle istituzioni pubbliche, e di conseguenza aiuti e sovvenzioni per chi si prende cura di conservare capi e accessori, è pressoché inesistente e si limita a sporadiche richieste di prestiti museali. Risulta quindi complesso se non impossibile su Milano creare un archivio navigabile in autonomia, per questioni di spazio, di tempo e di capitale da investire.

L’archivista quindi si barcamena tra la giungla urbana e le sue grandi difficoltà. Amministrare l’archivio mantenendolo fruibile è solo uno dei tanti lavori, tra i quali anche prendersi cura della conservazione di abiti e accessori delicati, mantenendoli comunque disponibili ai clienti, facendo si che gli abiti racchiusi negli archivi tornino a respirare e ispirare nuove generazioni di designer meneghini e internazionali.

Appurato che l’interesse dell’apparato pubblico rasenti lo 0, chi sono i privati che usufruiscono degli archivi? Si possono suddividere in 3 categorie: designer, stylist e collezionisti.

Di tutti questi sono i primi a essere i clienti preferiti degli archivi poiché grazie alle loro capacità e alla loro personale visione, nonostante al giorno d’oggi tutto sia stato già fatto, riescono a far rivivere nella contemporaneità capi e tecniche appartenenti al passato che senza la presenza degli archivi sarebbero altrimenti scomparse.

La seconda categoria di clienti invece ricerca l’unicità nei pezzi per dare vita a immaginari fotografici e non che grazie al lavoro d’archivio riescono a mescolare epoche e stili, contribuendo a ridare vita a ciò che dai più è stato dimenticato, passando poi per una sottocategoria degli stessi, ovvero quelli che si interfacciano con star e personalità mediatiche che sempre più ricercano un’immagine esclusiva al di fuori delle opzioni provenienti dalle varie maison, contribuendo al trend sempre più presente sui vari red carpet del “Archive pull”.

Gli ultimi, i più rari e controversi, sono i collezionisti privati, ai cui a volte l’archivista permette di acquistare pezzi dall’archivio, spesso più per necessità che per volere.

La storia di ogni archivio è diversa così come ogni archivista lo è diventato a modo suo. Chi lo ha fatto perché la passione sfrenata per lo shopping non entrava più nell’armadio di casa, chi invece per dar senso a una ricerca e accumulo nati come esigenza lavorativa perché designer, chi invece scappando dai set fotografici ha deciso di dedicarsi alla moda in una maniera diversa più lenta e attenta. Insomma, il lavoro d’archivio spesso non è stata la prima opzione ma sicuramente è stata una vocazione, spesso legata a un rapporto emotivo se non quasi sentimentale con la moda e le sue moltitudini espressive. Questa forte passione porta a una assidua ricerca di ciò che si considera non solo bello e di valore, ma soprattutto meritevole di interesse e capace di ispirare nuove visioni creative.

Il recente cambiamento dell’opinione pubblica riguardo al vintage e second hand, legato a una maggiore informazione e sensibilizzazione sull’impatto ambientale dell’industria moda, ha portato all’imposizione di questo mercato come macro-trend. Questo ha causato un vertiginoso aumento dei prezzi e, al contempo, ad una scarsità di capi realmente vintage, anche a causa di modelli di business che desiderano trarne profitto senza dedicare attenzione alla qualità e alla selezione. A questa problematica si somma quella della sovrapproduzione e del sovra consumo dell’abbigliamento pronto moda e fast fashion. Tutto ciò ha aumentato esponenzialmente la possibilità di viaggi a vuoto quando ci si interfaccia con i canali più tradizionali quali mercatini e mercati rionali, sempre più colmi di vestiti usa e getta non solo di dubbia qualità ma assolutamente privi di valore storico e culturale.

In assenza di supporti istituzionali, agli archivisti non resta che affidarsi ai clienti di una vita o di imbarcarsi in ricerche tra vecchie soffitte e cantine disseminate lungo tutto lo stivale per trovare capi capaci di generare emozioni e di offrire spunti creativi.

Nel supermercato della moda, l’archiviazione e la cura di selezione, sono la luce in fondo al tunnel di un mercato saturo e dannoso, sempre più schiavo dei modelli di business legati alla massimizzazione del profitto tramite la grande produzione e commercializzazione dei capi.

Ringraziamo Amelianna Loiacono, Lambrate20134, Sous Vintage e Madame Pauline vintage per averci aperto le porte dei loro spazi e per essersi prestati con piacere alle interviste che hanno permesso la stesura di questo articolo.


Dani Bordignon è nata a Riva del Garda, cresciuta ad Arco (TN), ha frequentato il liceo artistico A. Vittoria e si è diplomata in Arti figurative, negli anni ha sperimentato vari medium quali scultura, pittura, mosaico, video art e arte installativa. Durante il liceo ha iniziato il suo percorso di attivismo tramite associazioni e collettivi transfemministi. Ha frequentato il corso di Fashion Styling e Communication presso Naba, negli anni ha raccolto esperienze come stylist e Art Director per young designers e brand. Nel 2022 ha fondato con lə suə partner Aria Princigalli, Kafona (@kafona.fashionstyle), progetto di moda sostenibile che sfida il fashion system.

Aria Princigalli è natə e cresciutə a Milano, dove, pur frequentando un liceo scientifico, si appassiona all’arte sin dalla prima adolescenza, trovando nella moda la propria forma espressiva prediletta. Dopo alcune esperienze come assistente di laboratorio, frequenta il corso di fashion design in Istituto Marangoni, dove nel 2020 viene selezionatə tra l3 6 designer di Istituto Marangoni che progetteranno la capsule collection upcycled “Recynaissance”, in collaborazione con l’azienda tessile Manteco. Dopo la laurea lavora per un anno col brand genovese Regenes, specializzandosi definitivamente nella tecnica di upcycling. Nel 2022 fonda con la sua partner Dani Bordignon, Kafona (@kafona.fashionstyle), progetto di moda sostenibile che sfida il fashion system.