Gli economisti ci insegnano che il gioco di chi fa della conoscenza la propria materia prima (sia perché se ne avvale, sia perché la produce) è un gioco a specchio, e nello specchio del diritto – capiamo ascoltando i giuristi – si possono utilmente riflettere le identità imprenditoriali degli operatori culturali, a tutto vantaggio di una differenziazione regolativa che porti non a rimirarsi, in attesa di un premio di bellezza (bonus economico), ma a riconoscersi e a porsi in una proattiva condizione di «coopetition» (cooperation/competition).
Certo, un gioco del genere è complesso, e anche i giochi hanno le proprie regole – e teorie. Ma possono rimanere tali, ossia un bel gioco collettivo, oltre a una seria sfida imprenditoriale, e una buona disciplina delle attività creative deve saper garantire, in ogni fase dello sviluppo di un’impresa innovativa, l’appagamento intellettuale, strategico e produttivo dei propri autori (e giocatori).
Sorgente: L’impresa culturale italiana: genio e regolatezza | Doppiozero
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