La sfiducia è un fatto semplice e persistente. Abbandonare e lasciar andare, non credere nulla possibile, qui.
La finanza fa in fretta e la voglia di lasciare questo nostro difficile paese spesso andando alla ricerca di mercati alla moda è una facile intuizione. L’est europeo, Dubai, qualche paese emergente (finché emerge) come emergeva la vecchia Brianza: spostare mestieri e capitali, garantirsi un rendimento investendo come una volta nella new economy, troppo spesso senza immaginarsi il futuro ma solo un riconoscente presente.
E lasciare tutto in mano ad immobili gattopardi, vecchi e nuovi baroni, badare al proprio esattamente come loro ma più in piccolo e distante. Vale in ogni campo. Vale per ogni professione.
Che gusto c’è? Il denaro, certo, spesso facile e fatto senza creare nulla ma solo moltiplicato come per mitosi. Il co andò finto ma sufficiente, anche. Apparire e garantirsi una posizione inossidabile, soprattutto.
La quota di edonismo qui è ancora troppo alta, troppi professionisti vivono nel mondo di 30 anni fa che mantengono vivo con un respiratore artificiale, come finanzieri che non vanno oltre l’interesse egoistico degli scambi: avidità e invidia non guardano il passato e men che meno il domani. Piccoli poteri personali che non hanno alcuna appartenenza se non quella propria.
E invece no.
Il mondo, quello vero, è cambiato, cambia sempre. Restare qui, quindi, è quasi un piacere. Rimanere, resistere. E creare, innovare e ricostruire. Con più fatica, certamente, ma con sincera soddisfazione di aver contribuito al bene comune senza stereotipi, nessuna prospettiva e troppa luce riflessa che neanche abbronza.
Fare la rivoluzione, ogni tanto. Cambiare tutto affinché tutto cambi. Finalmente.
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Io giudico e credo che molte sofferenze si sarebbero potute evitare con più acuta intelligenza, con più decisa volontà, con più alto disinteresse, con maggiore spirito di socialità e meno torri d’avorio (Carlo Emilio Gadda)
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