La Cassazione (Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451) ha affermato che la spesa per la riparazione o la ricostruzione del lastrico solare va sopportata, ai sensi dell’articolo 1126 cod. civ., per un terzo da coloro che ne hanno l’uso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico serve da copertura (cfr., tra le altre, Cass., 9 novembre 2001, n. 13858, in Arch. loc. 2002, 286; Cass., 15 luglio 2003, n. 11029, in Arch. loc. 2004, I, 592; Cass., 28 settembre 2012, n. 16583, in questa Arch. loc. 2012, 6, 1433).
Pertanto, non solo bisogna separare i condomini che hanno l’uso esclusivo del lastrico solare, per porre a loro carico un terzo dell’onere della riparazione o della ricostruzione; ma nell’ambito dei rimanenti condomini va fatta un’ulteriore distinzione fra coloro che hanno (e coloro che non hanno) appartamenti nella zona dell’edificio coperta dal lastrico.
Nella ripartizione dei restanti due terzi della spesa (una volta detratto il terzo dovuto da chi ha l’uso esclusivo del lastrico) la qualità di partecipante al condominio genericamente intesa non ha un rilievo di per sé determinante. Quello che importa è che il condomino sia proprietario di una unità immobiliare nella colonna sottostante al lastrico.
Solo nel caso che colui che abbia l’uso esclusivo del lastrico sia anche proprietario di una delle unità ad essi sottostante si verifica l’obbligo della doppia contribuzione alla spesa: per un terzo, quale utente esclusivo del lastrico o della terrazza, e per i rimanenti due terzi, in proporzione del valore millesimale dell’unità compresa nella colonna sottostante al lastrico (Cass., Sez. II, 29 gennaio 1974, n. 244, in Arch. loc., 2000, 3, 489; Cass., Sez. II, 16 luglio 1976, n. 2821, in Giust. civ. Mass. 1976; Cass., Sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 10.).
E poiché il criterio che appunto rileva, per il riparto del carico dei restanti due terzi fra tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, è quello, dettato dall’articolo 1126 cod. civ., della “proporzione del valore di piano o della porzione di piano di ciascuno“, il concorso nella suddetta quota – là dove l’appartamento unitario sia strutturato su due livelli, fruente, al piano superiore, del calpestio sul lastrico solare e, al piano inferiore, della copertura – si ha avendo riguardo al valore dell’unità immobiliare compresa nella colonna sottostante al lastrico, non già all’intero valore millesimale attribuito all’appartamento anche per la parte che non trae utilità dalla copertura, fermo restando l’obbligo di contribuire alla spesa per un terzo quale utente esclusivo del lastrico al livello della parte superiore dell’appartamento.
In senso conforme alla decisione che si commenta la giurisprudenza si è pronunciata stabilendo che l’art. 1126 c.c., nel chiamare a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare, nella misura di due terzi, “tutti condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve“, si riferisce a coloro ai quali appartengono le porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o costruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini alle cui porzioni il lastrico stesso non sia sovrapposto (Cass., 4 giugno 2001, n. 7472, in Dir. e giust. 2001, 24, 67; Cass., 15 aprile 1994 n. 3542, in Giust. civ. Mass. 1994, 498).
In senso contrario la giurisprudenza di merito ha affermato che le spese di manutenzione del tetto o del lastrico di copertura dell’edificio devono essere suddivise tra tutti i condomini, secondo i millesimi di proprietà. Le spese effettuate per la conservazione delle parti comuni dello stabile condominiale e aventi lo scopo di preservarlo dagli agenti atmosferici sono assoggettate alla ripartizione in base al valore delle singole proprietà esclusive ex art. 1123, comma 1, c.c., non rientrando esse tra le spese contemplate dai commi 2 e 3 della medesima norma, ovvero quelle relative a cose comuni suscettibili di essere destinate in misura diversa al servizio dei condomini o al godimento di una parte di essi.
Ne deriva che la spesa per il rifacimento del tetto che è destinato a proteggere l’intero edificio e non solo gli ultimi piani dagli agenti atmosferici, coerentemente con quanto disposto dall’art. 1117 c.c., non può essere posta a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari poste nella verticale sottostante la porzione da riparare o solo a carico dei proprietari degli immobili siti all’ultimo piano. Un’eventuale diversa ripartizione potrebbe essere prevista in via convenzionale, ossia da tutti i condomini o da un regolamento avente natura contrattuale (Trib. Roma, 12 settembre 2013 n. 18080, in Guida dir. 2014, 1, 50).
In sede di commento più generale va rilevato che l’art. 1123 c.c. predispone due contrapposti criteri di riparto delle spese, correlati alle caratteristiche e alla destinazione del bene: il primo criterio, più elementare ed intuitivo, rimane legato al valore delle quota e quindi all’appartenenza della cosa; l’altro, più evoluto, è attento all’uso potenziale ed ha quindi causa nell’interesse alla cosa. L’obbligo del condomino di contribuire – ex art. 1123, 1° co., c.c. in proporzione della rispettiva quota, indipendentemente dalla misura dell’uso – alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune ed alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, ha origine nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate dall’ art. 1117 c.c. ovvero, più in generale, delle cose che servono per l’esistenza e l’uso delle singole proprietà immobiliari. Quando invece si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, il criterio di ripartizione delle spese è quello della proporzionalità tra spese ed uso, stabilito dal comma del medesimo art. 1123 c.c. (Trib. Bari, 20 marzo 2008).
L’obbligo del condomino di partecipare alle spese di manutenzione delle cose e dei servizi comuni in proporzione della quota posseduta nasce dalla legge, preesiste sia all’elaborazione delle tabelle millesimali, sia alla stessa delibera assembleare che vi dà contenuto concreto, ed il relativo diritto di credito del condominio costituisce obbligazione propter rem, il cui tempestivo soddisfacimento è in rapporto alla essenziale finalità della conservazione e godimento delle cose comuni (Cass., 16 dicembre 1988, n. 6844, in Giust. civ. 1989, I, 1138; Trib. Nola, 25 gennaio 2007; Giudice di pace Acireale, 24 febbraio 1998).
Secondo un orientamento di merito l’obbligo del condomino di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese medesime (Trib. Bari, 12 gennaio 2011, n. 58, in Giurisprudenzabarese.it, 2011).
Il partecipante sarà, pertanto, tenuto all’adempimento anche nell’ipotesi in cui tale obbligo sia sorto prima del suo ingresso nella comunione (Cass., 6 giugno 2007, n. 13242, in Resp. civ. e prev. 2007, 11, 2284, con nota di Carrino).
Più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica (Cass., Sez. II, 21 luglio 2005 n. 15288, in Giust. civ. Mass. 2005, 6).
Si è, inoltre, stabilito che l’obbligo del singolo condomino di contribuire in misura proporzionale al valore della sua unità immobiliare alle spese necessarie per la manutenzione e riparazione delle parti comuni dell’edificio e alla refusione dei danni subiti dai singoli condomini nelle loro unità immobiliari, a causa dell’omessa manutenzione o riparazione delle parti comuni, trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile, potendo tale condotta, ove provata, esclusivamente far sorgere a suo carico l’obbligo di risarcire il danno complessivamente prodotto ex art. 2043 c.c. Tale principio trova applicazione anche quando i danni derivino da vizi e carenze costruttive dell’edificio, salva l’azione di rivalsa, ove possibile, nei confronti del costruttore (Cass., 21 luglio 2007 n. 23308, in Guida dir. 2008, 5, 57; App. Roma, 4 dicembre 1997).
In una fattispecie particolare si è ritenuto che l’omessa manutenzione della terrazza di copertura dell’edificio condominiale da parte dei condomini è fonte di una obligatio propter rem a carico dei medesimi (o della parte di essi che se ne serva), in proporzione delle rispettive quote, ma ciò non osta alla legittimità di una domanda di risarcimento proposta, ex art. 2055 c.c., dal proprietario dell’appartamento sottostante – danneggiato, nella specie, da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza a cagione della sua mancata manutenzione – che assume, per l’effetto, la posizione di terzo rispetto a quella degli altri condomini inadempienti (Cass., Sez. III, 2 aprile 2001 n. 4797, in Giust. civ. Mass. 2001, 669). Si è ritenuto che la delibera condominiale, riguardante la contribuzione alle spese condominiali, ha un valore meramente dichiarativo (Cass. 21 febbraio 1995 n. 1890, in Arch. loc. 1995, 615).
Si è altresì ritenuto che l’art. 1123 c.c. nella parte in cui stabilisce che «se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne» fa riferimento alle ipotesi in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa. Occorre, dunque, avere riguardo non già al godimento effettivo e concreto, bensì al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune (Trib. Roma, 23 marzo 2005; nel caso di specie l’attore ha impugnato la delibera assembleare di approvazione del bilancio consuntivo e del bilancio preventivo relativo all’anno successivo deducendo che la presenza nel fabbricato condominiale di un albergo determinerebbe l’afflusso di un gran numero di persone con conseguente maggior uso dei beni comuni quali le scale, l’ascensore e l’androne. Tuttavia il Tribunale ha stabilito che un maggior uso del bene comune da parte di uno o più condomini non può comportare un aggravio di spesa di gestione per i suddetti).
La dottrina è orientata in senso conforme alla giurisprudenza nel ritenere che la partecipazione al condominio obbliga i singoli titolari di unità immobiliari a concorrere nelle spese necessarie per la conservazione e il godimento delle cose comuni; detto principio, già proprio del regime giuridico della comunione in generale (art. 1104, 1° co., c.c.), trova ulteriore spiegazione negli artt. 1123 c.c. e ss. (G. Terzago, P. Terzago, La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1991).
Dal punto di vista pratico non è possibile una netta distinzione tra spese necessarie per la conservazione e spese necessarie per il godimento, né è possibile ridurre a tale dualismo tutte le spese ipotizzabili.
Vi possono essere, infatti, delle spese che, pur rivestendo la forma delle prime, hanno caratteristiche delle seconde e viceversa. Si dice che le spese necessarie per la conservazione sono quelle che attengono all’integrità del bene, in quanto dirette a conservarlo, mentre le spese per l’uso sono quelle necessarie per il godimento del bene e per la prestazione dei servizi.
Tale principio è puramente teorico perché difficile è la linea di demarcazione tra le due categorie (Terzago, Il condominio. Trattato teorico – pratico, 5ª ed., Milano, 2003, 597)
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Articolo a cura dello Studio Legale de Tilla
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