Con l’ordinanza resa in data 5 agosto 2015 (sentenza n. 44643/205, Ilcaso.it, sez. giurisprudenza, 13284, 3 settembre 2015) il Tribunale di Milano ha posto un ulteriore tassello alla tesi (fatta propria anche in un precedente recente; cfr., anche, T. Milano, 3 aprile 2015, in Redazione Giuffrè, 2015) che riconosce efficacia immediata alla modifica dell’art. 120, comma n. 2, Testo Unico Bancario stabilendo che l’efficacia del divieto dell’anatocismo bancario (sancito dalla modifica apportata al secondo comma della norma in questione) non è subordinata all’approvazione della deliberazione del Comitato Interministeriale del Credito al Risparmio (ancora oggi vacante).
La norma (modificata a seguito dell’approvazione della Legge del 27 dicembre 2013, n. 147) dispone che: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale” (v. art. 120, comma 2, TUB).
Il tenore letterale dell’aggiunta posta al punto b) rende la norma immediatamente precettiva, ancorché il CICR non abbia (ancora) stabilito “modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere dal sistema bancario”. Per cui – secondo il Tribunale di Milano – è a partire dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina (i.e., 1° gennaio 2014) che gli interessi non possono essere più capitalizzati e produrre, a propria volta, interessi (potendo gli stessi essere calcolati solamente sulla sorte capitale del credito).
La portata applicativa della novella è dirompente in quanto essa ha modificato la precedente configurazione della disposizione di legge che (al contrario) riconosceva agli istituti creditizi la possibilità di praticare l’anatocismo purché fosse stata assicurata alla clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori (v. art. 120, comma 2, TUB nella sua precedente formulazione). In particolare sotto la vigenza del precedente testo legislativo la maturazione di interessi anatocistici poteva dirsi legittima (solamente) a condizione che:
- fosse espressamente indicata la periodicità di capitalizzazione (art. 2 Delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000);
- fosse stabilita nell’ambito del rapporto la stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi sia attivi che passivi (art. 2 Delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000); e
- la clausola che prevedente la periodicità della capitalizzazione degli interesso fosse specificamente approvata per iscritto dalle parti (art. 6 Delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000)
Va però precisato che la precedente (e, per quanto ci riguarda, infelice) formulazione legislativa aveva portato il sistema bancario a introdurre, nei contratti con la clientela, una (spesso) soltanto apparente identica periodicità del conteggio degli interessi (passivi e attivi); in concreto, del tutto inesistente. Tale essendo il caso (ad esempio) di previsione di indicazione di un tasso effettivo che, soltanto a partire dalla quarta cifra decimale appaia superiore al tasso nominale. In queste ipotesi è difficile contestare che l’indicazione della capitalizzazione degli interessi attivi per il cliente sarebbe solo simbolica o, comunque impercettibile, e sembrerebbe utile unicamente ad un formale rispetto della delibera del CICR e ad una reciprocità soltanto apparente visto che difficilmente il correntista potrebbe avvertirne gli effetti a suo favore. (cfr., R. Di Napoli, Anotocismi e vizi nei contratti bancari, Ed. Maggioli, 2013, pag. 153, nota 105).
Isolate (per non dire pressoché uniche) le pronunce rese dai giudici di merito nel solco dell’interpretazione della norma illustrata nel paragrafo che precede. Tra queste merita citarne una del Tribunale di Grosseto che ha affermato che “la nozione di reciprocità [•] consiste essenzialmente nel fatto che il criterio di calcolo per l’anatocismo deve essere identico per i saldi periodici debitori e per quelli creditori. A potenziare il convincimento sulla necessità della identica modalità di calcolo imposta dalla richiamata normativa sta la sua funzione, anche sostanziale, di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, relativamente a prassi negoziali diffuse, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche (…). Ed allora (…) non può essere consentito un criterio di calcolo elastico che si accresce in proporzione geometrica, quando si tratta di calcolare la capitalizzazione trimestrale a favore della banca, ed invece si ritrae – fino ad annullarsi – quando si deve quantificare l’anatocismo a favore del cliente” (cfr. T. Grosseto, 2 luglio 2007, in Redazione Giuffré, 2007).
L’articolo 120, comma 2, del Testo Unico Bancario (come novellato dall’art. 1, comma 629, l. n. 147/2013) non può che essere inteso come rivolto a vietare l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 c.c. che, a decorrere dall’1 gennaio 2014, rende dunque illegittima qualsiasi prassi anatocistica nei rapporti bancari e vietato l’addebito di interessi anatocistici passivi.
Il provvedimento in commento offre un ulteriore spunto di riflessione: con esso il Tribunale ha anche affermato che l’azione finalizzata a inibire alla banca un comportamento scorretto (tale dovendosi intendere anche l’applicazione di interessi sugli interessi) può essere intrapresa anche in via d’urgenza, secondo quanto previsto dall’art. 140, comma 8, Dlgs 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo). Ciò in quanto “i giusti motivi d’urgenza” richiesti dalla norma non coincidono con il requisito del “pregiudizio imminente e irreparabile” posto a fondamento dell’azione esperibile nelle forme dell’art. 700 c.p.c.
I giusti motivi d’urgenza vanno ravvisati ogni qual volta l’istituto di credito ponga in essere comportamenti lesivi dei diritti dei clienti e tali da aggravare i danni conseguenti per i consumatori i quali difficilmente potrebbero ottenere una tutela altrettanto efficace mediante l’introduzione di un giudizio ordinario (i cui tempi di durata sono oggettivamente più lunghi). Essi sono, dunque, racchiusi nell’esigenza di prevenire il verificarsi di tali danni, impedendo che un comportamento illegittimo si protragga nel contempo cristallizzando il pregiudizio sofferto, il cui ristoro comporterebbe solo iniziative costose (sotto il profilo delle anticipazioni a cui il singolo correntista sarebbe costretto per instaurare i giudizi) tali da disincentivare il singolo all’azione.
Va segnalato, infine, che legittimati all’azione sono anche le associazione dei consumatori allorquando (come avviene nel caso di applicazione di interessi illegittimi) si affermi violato il diritto (del cliente) alla correttezza, alla trasparenza e alla equità nei rapporti commerciali. Le associazione dei consumatori sono quindi legittimate sia alla proposizione dell’azione in forma ordinaria sia nelle in via d’urgenza (ex art. 140, comma 8, Codice del Consumo).
(a cura dello Studio Legale de Tilla)
Your Comment
Leave a Reply Now