Preferirei di no. L’atteggiamento passivo e indolente di Bartleby, figura pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida, protagonista del più famoso e discusso racconto di Melville, assomiglia a quello dell’Italia nei confronti della cultura. Quella che Gilles Deleuze definì la nuova arte della resistenza. Non dire sì né no in una pilatesca equidistanza tra affermazione e negazione.
“La cultura è il nostro sguardo verso il domani. Senza cultura saremmo dominati dal presente, dal contingente. E saremmo meno liberi. Come società anche molto meno competitivi”.
Il presidente della repubblica Sergio Mattarella (sue queste parole riportate nella prefazione al Rapporto annuale Federculture 2015) ha ben chiaro il rapporto tra arte e finanza, tra economia e cultura. E non solo: tra tutto questo e la prospettiva che uno Stato ha di sé, il rapporto con il futuro che immagina.
Eppure in Italia sembra che certe cose non abbiano seguito. Che essere figli (o forse sarebbe meglio dire lontani discendenti) del Rinascimento ci possa esentare dall’aver cura del patrimonio che ci è stato affidato. Che vantarci di possedere la maggioranza del patrimonio culturale mondiale possa dare un senso al nostro immobilismo di fronte a un mondo veloce e digitale, alla valorizzazione della bellezza che passa anche dalla sua comunicazione.
Sotto questo profilo, ad esempio, sono sconfortanti i dati che confrontano like e followers delle pagine social dei principali musei del mondo con quelli degli italiani più visitati e dimostrano l’atteggiamento provinciale che per superficialità e, talvolta, per arroganza mina la capacità italiana di progredire, di creare valore e sviluppo non solo economico dalla principale risorsa naturale nazionale.
Museo | Città | visitatori | ||||
like | visitatori | recensioni | followers | |||
Louvre | Parigi | 9.720.260 | 1.700.000 | 1.600.000 | 216.000 | 2.270.000 |
Centre Pompidou | Parigi | 3.800.000 | 495.000 | 323.000 | 35.000 | 379.000 |
Museo d’Orsay | Parigi | 3.600.000 | 402.000 | 168.000 | 24.000 | 247.000 |
British Museum | Londra | 5.575.946 | 882.000 | 574.000 | 43.000 | 598.000 |
Tate | Londra | 1.536.833 | 778.000 | 147.000 | 36.000 | 1.950.000 |
Metropolitan Museum of Art | New York | 6.115.881 | 1.300.000 | 758.000 | 79.000 | 1.010.000 |
Museum of Modern Art | New York | 2.805.659 | 1.700.000 | 768.000 | 87.000 | 2.290.000 |
Guggenheim Museum | New York | 1.188.839 | 652.000 | 192.000 | 34.000 | 1.220.000 |
Galleria degli Uffizi | Firenze | 1.769.217 | 10.000 | 25 | 44 | 5.300 |
Palazzo Ducale | Venezia | 1.323.508 | 1.300 | 9.700 | 1.400 | 8.200 |
Palazzo Reale | Milano | 1.167.744 | 5.900 | 28.000 | 3.000 | – |
La cultura italiana rimane spesso ostile alla commistione tra arte e finanza così come troppo frequentemente lo è la politica nei confronti della cultura e tutto questo è molto strano, miope e provinciale.
Nonostante l’impegno che abbiamo profuso nell’affossarlo con politiche insensate il nostro sistema produttivo culturale (SPC) fattura 78,6 miliardi di Euro pari al 5,4% del PIL (in Europa il SPC vale €558 miliardi peri al 4,4% del PIL continentale) e offre lavoro a quasi a un milione e mezzo di persone. Ogni Euro prodotto in cultura ne genera un altro 1,7 (e altri posti di lavoro) e in un paese in cui l’industria non può reggere la concorrenza di paesi più flessibili, in cui la disoccupazione (giovanile e non) fatica a rientrare entro parametri fisiologici, in cui le risorse naturali non abbondano e dove la struttura geografica non aiuta, questa capacità di produrre ricchezza, economica e immateriale, non dovrebbe esser cosa di poco conto.
* | ft (in mld di €) | % sul totale | occupati | moltiplicatore | ft indotto | ft totale |
performing arts | 4,2 | 5,3% | 88.300 | 1,2% | 5,0 | 9,2 |
gestione del patrimonio | 1,2 | 1,5% | 23.700 | 2,0% | 2,4 | 3,6 |
industrie culturali | 36,7 | 46,7% | 561.000 | 1,3% | 47,7 | 84,4 |
industrie creative | 36,5 | 46,4% | 751.000 | 2,2% | 80,3 | 116,8 |
78,6 | 100,0% | 1.424.000 | 1,7% | 135,5 | 214,1 |
* (I dati sono stati estrapolati dal rapporto Io sono cultura 2015. Per performing arts si intende tutto ciò che non è riproducibile, l’arte propriamente detta. La gestione del patrimonio è affidata a musei, biblioteche, archivi…. Le industrie culturali sono formate dal settore cinematografico, dalla tv, l’editoria e l’industria musicale. Creative, invece, sono il design, l’architettura e la comunicazione).
La complementarietà di economia e cultura è sancita dall’Unesco nella sua convenzione sulle diversità culturali: Poiché la cultura è una delle spinte fondamentali dello sviluppo, gli aspetti culturali dello sviluppo sono altrettanto importanti degli aspetti economici e gli individui e i popoli hanno il diritto fondamentale di parteciparvi e goderne. Un atteggiamento negligente nei confronti dell’arte e della cultura è il primo e fondamentale passo verso la sottomissione al pensiero unico e la colonizzazione dell’economia dominante.
Dovremmo saperlo bene noi italiani: furono proprio l’arroganza, la corruzione morale, il declino culturale e l’iniquità a determinare la caduta dell’Impero Romano. A impedirne il futuro.
Nonostante questo continuiamo a trattare il nostro patrimonio culturale come gli estremisti mediorientali che ogni telegiornale ci presenta e che ci indignano più di noi stessi.
16 milioni di italiani hanno giocato almeno una volta d’azzardo (e il 78% sono giovani sotto i 34 anni) perdendo €17 miliardi. In compenso più della metà non ha letto un libro nell’ultimo anno perdendo un’infinità di occasioni di farsi e fare del bene, solo poco più di un quarto ha visitato un museo nello stesso periodo e quasi il 20% non ha visitato mostre, non ha letto libri e quotidiani, non è andata ad alcun concerto, né a teatro e neanche al cinema, allo stadio o in discoteca.
% astensione | |
mostre e musei | 69,7 |
siti archieologici | 75,7 |
conterti di musica classica | 88,2 |
concerto jazz/pop/rock | 79,2 |
teatro | 78,7 |
cinema | 50,0 |
sport | 72,4 |
discoteche | 78,3 |
quotidiani | 51,3 |
libri | 56,5 |
astensione totale | 19,3 |
Parlare di cultura senza cultura porta solo alla sua mercificazione e non alla valorizzazione del suo impatto socio-economico. Abbiamo perso una generazione, almeno. Occorre ripartire dalle scuole: insegnare ai bambini e ai ragazzi la bellezza. A riconoscerla, a proteggerla. A produrla e amministrarla.
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