Goffredo Parise – sulle medesime pagine del “Corriere della Sera” in cui Pasolini pubblicava i suoi affondi chirurgici al cuore della mutazione in atto negli anni Settanta – poteva portare avanti con la sua proverbiale elegante semplicità questo geniale ribaltamento dei (neonati, allora) paradigmi consumistici: «Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra. Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. (…) Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita». L’articolo si intitola “Il rimedio è la povertà”, e fu pubblicato il 30 giugno 1974 e nel volume “Dobbiamo disobbedire” (Adelphi 2013, pp. 18-19).
In questa differenza sostanziale tra povertà e miseria si gioca ancora oggi gran parte della questione italiana: urge una nozione nuovamente impegnativa e audace della nostra identità collettiva, da contrapporre all’insopportabile arrendevolezza e passività che ci circonda; una nozione in grado di riscoprire l’“educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita”.
viaPerché sarà la povertà (e non la Grande Bellezza) a salvare l’Italia | Linkiesta.it.
Your Comment
Leave a Reply Now