Ci risiamo. Deve essere il cane di Pavlov; appena un leader politico italiano si sente in difficoltà, la reazione automatica è quella di annunciare l’abolizione dell’imposta sulla prima casa. Mossa che più popolare di così non si può, in un paese dove l’80 per cento delle famiglie vive in una casa di proprietà, ma mossa anche poco sensata, e indicativa di una situazione di debolezza piuttosto che di forza.
Il problema non sono tanto i soldi, anche se trovare 3,5 miliardi entro il 2016 (che diventano 5 se ci si aggiunge l’Imu agricola e quella sugli imbullonati) non è esattamente una barzelletta. Il problema non è neanche dover re-intervenire per l’ennesima volta in pochi anni sulle imposte immobiliari: dopo l’indegno balletto Ici-Imu-Tasi, una razionalizzazione si impone per forza, e in effetti era già prevista con la nuova “local tax”.
L’assurdo è partire avendo già deciso che il problema principale è rappresentato dall’imposizione sulla prima casa, e non dalle miriadi di altre nefandezze che l’attuale tassazione immobiliare comporta, compreso l’eccesso di prelievo sui trasferimenti di proprietà e sulle imprese.
Un’imposizione sulla prima casa ben congegnata, come del resto era l’Imu prima versione, può ben comportare una sostanziale esenzione dalla tassazione dei nuclei familiari più poveri. Ma perché si debbano esentare a priori anche le famiglie medio-ricche, probabilmente tassandole da qualche altra parte in modo più distorsivo, non è chiaro.
Oltretutto, l’imposizione immobiliare nella logica della “local tax” doveva tornare a rappresentare il fulcro dell’autonomia fiscale dei comuni e della responsabilizzazione degli amministratori locali; come lo si possa fare esentando a priori quelli che votano, cioè i residenti, non si capisce. Chissà che avrebbe detto il Renzi sindaco delle proposte del Renzi presidente del Consiglio.
viaIl cane di Pavlov e gli altri tagli di tasse | Massimo Bordignon.
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