«Sono alla guida del più importante ministero economico italiano». L’ha pronunciata il giorno del giuramento da ministro della cultura, Dario Franceschini, ma ama ripetere questa battuta ogni volta che può. Battuta? Nemmeno troppo, in realtà. O, perlomeno, così dovrebbe essere, in un mondo perfetto e in un Paese con il patrimonio storico, artistico, culturale, paesaggistico qual è l’Italia.
Non solo: se estendiamo – ma non troppo – il concetto di cultura a quello che potremmo definire il sistema produttivo culturale, fatto di design, architettura, produzione audiovisiva, digitale, editoriale. Un vero e proprio sistema industriale che dovrebbe essere, se non la locomotiva, perlomeno il primo vagone dell’economia italiana. Basti pensare, senza andare troppo lontano, come la Gran Bretagna ha saputo sfruttare la sua industria dello showbiz musicale, editoriale, cinematografico, teatrale, che da solo genera un giro d’affari di circa 85 miliardi di euro.
Se questo è il valore che muovono – con tutto il rispetto – gli epigoni di Beatles e Rolling Stones, i 78,6 miliardi di valore aggiunto delle filiere culturali e creative italiane, stando ai dati del rapporto ”Io sono cultura” di Unioncamere e Fondazione Symbola, sono solo l’antipasto di quel che potrebbe essere.
viaL’economia culturale italiana vale 79 miliardi. Ma sono ancora pochi | Linkiesta.it.
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