Lomb*art/Minuetto

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Ascoltiamo le voci di qualche cuffia, che sia una canzone o una telefonata, ma comunque lontana e privata. Parliamo con qualcuno dall’altra parte del filo anche se i fili, ormai, non ci legano più. Scriviamo messaggi, post, commenti senza sapere davvero chi li leggerà. Leggiamo gli sms che ci illuminano lo schermo, leggiamo cose che basta poco a dimenticarsene.

E non ascoltiamo più davvero la musica, non ascoltiamo chi ci parla vicino, chi chiede aiuto o ci regala qualcosa. Non parliamo senza pensare, con chi ci guarda negli occhi, con chi vorrebbe ascoltarci davvero. Non scriviamo più lettere né biglietti d’auguri, non usiamo più le parole per dipingere un foglio. E non leggiamo quello che varrebbe la pena, che costa fatica, che quella fatica non è nulla in confronto.

Mentre i tram sono diventati luoghi silenziosi e di precario equilibrio dove ognuno si regge da solo nascondendosi dentro i confini di uno schermo e due auricolari, rivolto a sé stesso. Dove ognuno gioca solitario al proprio sport, nel proprio campo senza bisogno apparente di arbitri e regole.

Ma non si può liberalizzare ogni cosa, per legge o in coscienza. Non si possono eliminare le norme, l’educazione, il rispetto. Non si può non ascoltare e pensare di aver capito, non si può parlare a ruota libera perché “la libertà di espressione è la scusa di tutti i deficienti per dire le proprie sciocchezze”, come ha scritto un giornalista francese dopo la strage di Charlie Hebdo, e non certo per giustificare il terrorismo.

Possiamo discutere di tutto, eliminare ogni professione e liberalizzare ogni cosa. Possiamo giocare ogni sport, far finta di aver sempre ragione, fregarcene di ogni tutela e fair play e di ogni limite. Degli altri. Ma non funziona così.

Possiamo (dobbiamo) inorridire se l’Isis distrugge una civiltà e secoli di storia ma non possiamo pensare che i crolli a Pompei non siano il frutto di un pensiero altrettanto scellerato, che la corruzione sia un male minore e comunque giustificabile. Che il nostro estremismo sia migliore degli altri.

E come in ogni cosa c’è chi ci mette coscienza e cervello e chi, invece, ne trova il proprio vantaggio, chi pensa a vincere senza chiedersi come. Chi fa la coda e chi la salta con insopportabile soddisfazione.

Nel 1972 una mostra, in Italia e negli Sati Uniti, raccontava il degrado e le ferite inflitte all’italia, alla sua storia e alla sua coscienza. Cos’è cambiato da allora? Nulla, sembra.Continuiamo a piangere la morte della nostra civiltà, un lutto fin troppo elaborato da non importarcene più nulla.

Renato Bazzoni, che di quella mostra fu l’anima disse: “Queste nostre denunce sono solo esercitazioni accademiche, minuetti al suono di un carillon che si scarica al fine dell’esercitazione. Infatti chi potrebbe provvedere non è qui tra noi. Non è mai tra noi, impegnato com’è in altri minuetti”.

Parlava di ognuno di noi.

Dicono di noi: I Palazzi del potere – Claudio Onorato | Paola de Riva La Grande Fabbrica delle Parole a Fa’ la cosa giusta!
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